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LUCCA LONGOBARDA


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Dopo le anticipazioni dello scorso ottobre sul ritrovamento di una tomba femminile databile fra il 600 e il 650 durante le indagini archeologiche condotte a Lucca, in Via Elisa, preliminari alla ristrutturazione di “Casa Betania”, di proprietà della Congregazione delle Suore Ministre degli Infermi, è possibile confermare il rilevante interesse delle acquisizioni su Lucca d’età longobarda scaturite dai lavori di scavo.

La tomba - prima di questo tipo a Lucca - raccoglieva le spoglie di una donna appartenente all’aristocrazia della città, deposta in cassa lignea con i suoi oggetti di ornamento personale: un paio di orecchini a cestello in argento finemente cesellato, rinvenuti ancora “in posto” ai due lati della mandibola; un pettine in osso decorato a incisione adagiato sul ventre. Ma dallo sviluppo dello scavo è apparso che la tomba della “Dama con gli Orecchini” si inseriva all’interno di un gruppo di almeno sette sepolturecollocate all’interno di un edificio costruito con possenti muri in ciottoli e malta. Si tratta chiaramente di una chiesa cimiteriale e le caratteristiche architettoniche ancora leggibili, che tradiscono l’acquisizione dei modelli del V e VI secolo d’area milanese e ravennate, avallano l’interpretazione. Le tombe sono disposte per “righe”, orientate in senso sud-ovest/nord-est, secondo un uso peculiare di questo momento storico, che vede anche a Lucca e in Toscana la progressiva “contaminazione” delle tradizioni romane e di quelle germaniche.

I dati stratigrafici confermano che la chiesa fu eretta tra V e VI secolo. È stata subito valutata la possibilità di identificarla con la chiesa suburbana di San Gervasio, di cui i documenti lucchesi attestano l’esistenza già nel 739, e la collocazione presso l’attuale chiesa di Santa Maria Foris portam (“Santa Maria bianca”); tuttavia potrebbe trattarsi di altra fondazione di cui non ci è giunta notizia dalle fonti documentarie.

Essa costituisce un ritrovamento eccezionale, essendo la prima di così antica fondazione che affiora dall’attività di scavo a Lucca – dopo i resti di San Bartolomeo in silicescoperti nel vicino complesso del San Ponziano, nel 2005 – e, soprattutto, getta una luce particolare sulla storia del vivace sobborgo detto “di Cipriano”, sorto fuori della porta orientale della Lucca altomedievale lungo l’antica via che portava a Firenze, luogo di residenza di eminenti famiglie dell’aristocrazia longobarda, da cui provengono vescovi e personaggi di spicco dell’alta società lucchese dell’VIII secolo: Pertuald, il fondatore di San Micheletto; Peredeo vescovo, suo figlio; la famiglia del vescovo Pietro, fondatrice di San Bartolomeo in silice.

L’affioramento durante gli scavi del margine sud dell’antica via inghiaiata (ricalcata dalla via Elisa), che correva a pochi metri dall’edificio ecclesiastico, completa la ricostruzione della topografia di questo settore della contrada, la cui vita si è protratta fino ai secoli centrali del Medioevo, tra X e XI secolo. In questo momento sia la chiesa che l’area cimiteriale risultano dismesse, incise da profonde fosse e scassi di ogni genere, finalizzati al recupero di materiali da costruzione, che preludono a una nuova urbanizzazione di cui sono sopravvissuti solo esigui lembi di strutture messe in opera con materiale di spoglio. Sono gli stessi anni in cui anche i documenti registrano che la chiesa di San Gervasio era ridotta a rudere: un’inquietante coincidenza o un possibile indizio supplementare per l’identificazione dell’edificio affiorato nello scavo?

I lavori di scavo sono stati eseguiti dalla ditta Giunta Sauro sotto la conduzione dell’archeologo Alessandro Giannoni e la direzione scientifica del dott. Giulio Ciampoltrini della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. Il corredo è attualmente sottoposto alle analisi di laboratorio nel Centro di Restauro della Soprintendenza per i Beni Archeologici, mentre le indagini antropologiche sono state affidate – nella tradizione di proficua collaborazione che ha recentemente portato alla ricostruzione della “Fanciulla di Vagli” – al gruppo di lavoro del professor Gino Fornaciari, ordinario di Paleopatologia presso l’Università di Pisa.

FONTE: Soprintedenza per i Beni Archeologici della Toscana

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