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Che moneta era la Mutta dei Savoia?


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E tutto il pomeriggio che cerco di capire a quale moneta corrisponde la "mutta" e la "mezza mutta" che i Savoia portarono a Genova intorno al 1814, in seguito all'annessione della Repubblica Ligure al Regno di Sardegna.

C'è stato, in quel periodo, un po' di confusione tra le valute circolanti, i Franchi di Napoleone, la vecchia monetazione genovese ancora circolante per un bel pezzo, e la "nuova moneta" dei Savoia per cui cercavo di capire che cosa i genovesi intendessero con quel termine gergale.

L'ho trovata scritta anche motta, mótta, muta.

Grazie .... e a buon rendere.

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Dal web (ma probabilmente già lo avrai visto) ho trovato questo.

Si usava la mutta piemontese per misurare i quaranta centesimi, e venti erano mezza mutta.

http://www.ilportori...orebora2_4.html

Sì, grazie, ma volevo vedere materialmente a quale moneta corrispondesse perchè so che era una moneta fisica non una specie di misura e, presumo, che i genovesi con quella parola intendessero sia le monete cittadine che i franchi che avevano lo stesso valore (anzi sembra che la mutta piemontese avesse un intrinseco peggiore, pur avendo lo stesso valore, delle corrispondenti genovesi).

Ho l'impressione che sia una parola che si sta perdendo in quanto ho chiesto a molti che non mi hanno saputo rispondere.

Grazie, in ogni caso.

Modificato da dizzeta
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A quanto ne so io, la Mutta era il pezzo da 20 centesimi coniato da Vittorio Amedeo nel 1794-96 e la Mezza Mutta il pezzo da 10. Era a circolazione fiduciaria, essendo coniato in mistura con un intrinseco molto inferiore al nominale. Si diceva Mutta (cioè «muta») perchè, al di là dell'aspetto che pareva di buon argento, non tintinnava a causa dell'elevata percentuale di rame.

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A quanto ne so io, la Mutta era il pezzo da 20 centesimi coniato da Vittorio Amedeo nel 1794-96 e la Mezza Mutta il pezzo da 10. Era a circolazione fiduciaria, essendo coniato in mistura con un intrinseco molto inferiore al nominale. Si diceva Mutta (cioè «muta») perchè, al di là dell'aspetto che pareva di buon argento, non tintinnava a causa dell'elevata percentuale di rame.

Oh grazie! Quindi era questa: http://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-VA3/9 .Benissimo, ora mi metto sotto con le "corrispondenze" ...

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Debbo correggere un lapsus: 20 soldi, non 20 centesimi! (e 10 soldi la mezza Mutta). La moneta continuò a circolare (tariffata ad un quarto del suo valore) anche dopo il Congresso di Vienna, poi fu posta fuori corso e ritirata al valore di fino, ma venne incettata da aggiottatori che la portarono ove c'era scarsità di circolante (soprattutto Ducato di Modena) dove, in abusivo, era quotata più dell'intrinseco e circolò fino all'unità d'Italia.

Pare una moneta insignificante, ed invece è ricca di storia, un po' come i Buttalà coniati a Piacenza più o meno nello stesso periodo.

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...certo che capirci è arduo:

moneta da 20 soldi, tariffata a un quarto del suo valore che si è svalutata fino a 10 centesimi, ma a Genova, dopo il Congresso di Vienna, andava per 40 centesimi e anche per un certo periodo di tempo tant'è che è entrata nel gergo cittadino....e questi sono i dati "certi" ...

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Se può aiutare volevo aggiungere che proprio il mese scorso un mio amico mi ha chiamato per aiutarlo a identificare una moneta da 10 soldi che suo zio aveva trovare nel suo orto a Casella che si trova nell entroterra genovese e la moneta era molto consumata a testimonianza che aveva circolato molto

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Finalmente a casa, ho dato un'occhiata ai miei appunti e posso fare un discorso un po' più preciso sulla Mutta.

La moneta pesava gr. 5,46 di argento 289: in pratica il suo intrinseco era di gr. 1,58 d'argento e quindi, in lire italiane (o franchi) il suo valore era appena superiore a 35 centesimi, a fronte di un nominale, lo ricordo, di una lira. Già nel 1799, quando Carlo Emanuele dovette rifugiarsi in Sardegna, ne portò il nominale a 6 soldi (=30 centesimi). Si pensava che il nominale, pur inferiore all'intrinseco, non generasse fenomeni di accaparramento, in quanto c'era da mettere in conto le spese di affinazione di un titolo tanto basso, ma evidentemente i progressi tecnologici (e la «fame» di monete in alcuni stati - segnatamente il Ducato di Modena -) resero comunque conveniente farne incetta, finchè nel 1832 Carlo Alberto ne elevò il nominale a 8 soldi (=40 centesimi) stroncando la speculazione, o forse, sarebbe meglio dire, legalizzandola. Ma se nel Regno di Sardegna esse praticamente scomparvero, pur restando in corso a 8 soldi fino al 1862, le troviamo nei Ducati di Parma e Modena ad una tariffa ufficiale di 40 centesimi, ma alla tariffa abusiva di 44, pur trattandosi molto spesso di pezzi assai consunti e di peso calante, che a suo tempo avevano fatto la fortuna di chi le aveva acquistate a 30 centesimi prima del 1832.

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