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Il messaggio di Licinia Eudossia a Genserico


antvwaIa

Risposte migliori

Un’ancella giunse con l’inattesa richiesta che il conte dei pretoriani preposti alla difesa del Sacro Palazzo chiedeva di essere ricevuto. Mi parve molto strano, in quanto il turpe usurpatore, Petronio, mi aveva completamente escluso da ogni ingerenza nella vita della Corte e di fatto era reclusa nel mio alloggio insieme alle mie figlie. Gli concessi udienza, accompagnata dalle mie figlie, e fu così che fummo edotte che lungi dall’organizzare qualsivoglia difesa della città, quell’ignobile che non esitò a uccidere l’imperatore legittimo per occuparne indegnamente lo scranno aveva tentato di fuggire da Roma, vestito come un qualunque cittadino nell’inutile tentativo di non essere riconosciuto: ma se per gran parte degli abitanti dell’Urbe il suo volto era ignoto, non lo era per i pretoriani di stanza alle porte cittadine. Lo riconobbero e ne ebbero tanto sdegno che posero fine alla sua vita. Mi disse pure il Conte che un gruppo di popolani non appena la notizia della morte di Petronio Massimo si diffuse, si recarono nei pressi della porta per osservarne le spoglie e che poi, accesi dalla rabbia per la viltà di chi si diceva imperatore senza averne i meriti ed esaltati dalla paura per la presenza del re vandalo alla foce del Tevere, ne fecero a pezzi il suo corpo, disgregandone le membra e buttandole nel fiume stesso affinché giungessero dove era acquartierato quell’esercito che tanto terrore gli aveva causato. Infine, il Conte mi suggeriva di abbandonare la città insieme alle mie figlie, offrendomi la protezione dei suoi pretoriani, e di raggiungere Ravenna, dove saremmo stati al sicuro.

Sin da bambina fui cresciuta per essere una degna augusta dell’impero. L’imperatore Teodosio, saggio giurista amante della pace e dell’ordine fu il padrte mio; l’imperatore Arcadio, che seppe difendere il limes dalla tracotanza sassanide fu il mio avo; l’imperatore Teodosio, il primo a portare questo nobile nome e colui che diede origine alla nostra grande dinastia fu il mio antenato; l’imperatore Valentiniano, che seppure aveva molti difetti mai gli mancò il coraggio e l’ardire, fu il marito mio. No. Io non avrei abbandonato Roma. Io non sarei fuggita tremante come una popolana intimorita. Io avrei serbato intatta la dignità del nostro casato e sarei rimasta e avrei affrontato il Vandalo. Così risposi al conte dei pretoriani del Sacro Palazzo. Quindi gli diedi licenza di ritirarsi, ordinandogli di restare a mia disposizione che gli avrei comandato quanto fosse da farsi e di comunicarmi prontamente ogni altra novità e quali movimenti facesse l’esercito vandalo.

Non passò molto tempo che nuovamente chiese di essere ricevuto: fu per dirmi che il popolo impaurito, vedendo i patrizi fuggire dalla città ed essendosi diffusa la notizia dell’uccisione di Petronio, si era rivolto al vescovo Leone affinché intermediasse col vandalo. Non sapevo se ciò potesse essere utile per salvare la città, ma non dubitavo che il vescovo avrebbe fatto quanto in suo potere per placare il re Genserico.

Ma anch’io dovevo muoverrmi nella stessa direzione e risolsi di scrivere di mio pugno una missiva al sovrano vandalo.

Lo adulai, mostrando quanto avessimo apprezzato il fatto che lui seppe rispettare i patti sottoscritti nella primavera della X indizione, essendo consoli Eudossio e Dioscoro (anno Domini 442); gli scrissi che purtroppo l’augusto mio sposo dovette sottostare ai ricatti del generale Ezio, del quale ben ne conoscevamo entrambi la falsità, ma che avendo giustiziato l’infido duce, l’imperatore Valentiniano voleva dare compimento alle promesse nozze di Eudocia con il principe Unerico e che ora io sarei stata ben lieta che così si fosse compiuto, ma che non per nostra volontà ma in quanto forzata la mia primogenita era stata illecitamente maritata a Palladio, figlio di Petronio e altrettanto indegno quanto il padre suo; gli dissi che apprezzavo moltissimo il suo valore e che nessuno più di lui sarebbe stato degno di essere il patricius dell’Impero d’Occidente, di comandarne tutti gli eserciti e di risiedere nella Città Eterna. Infine, aggiunsi ancora, io ero nuovamente vedova e, questa volta, non tenuta a rispettare alcun lutto, ma bisognosa di un fedele condottiero che mi fosse di sostegno e che insieme all’impero proteggesse me e le mie figlie.

Mentre vergavo sul papiro le mie parole, pensavo alla mia cara cognata, l’augusta Onoria, rinchiusa in un convento non lontano dal Sacro Palazzo, ora non più forzatamente, ma per sua stessa volontà, avendo voluto votarsi al raccoglimento e avendo scelto la clausura. Mi pareva davvero che fosse volontà del Fato che quanto ella aveva progettato con il sovrano unno a vantaggio dell’impero e della dinastia teodosiana, fossi ora io a compierlo con il sovrano vandalo e per le medesime ragioni.

Seppure non osai aggiungere un anello alla mia missiva, l’allusione alla mia rinnovata vedovanza comunicava al re Genserico che se avesse voluto convogliare a nozze con la mia persona, mi avrebbe trovata ben disposta, e per meglio esplicitare ciò conclusi il mio lungo messaggio con l’auspicio che un giorno il seme del vandalo potesse trovare frutto nel ventre romano e nascesse una nuova dinastia che restituisse all’Impero la sua antica grandezza, ora rinnovata e accresciuta dalla virtù germanica.

Convocai il conte dei pretoriani del Sacro Palazzo, gli consegnai la mia missiva e gli ordinai di recarsi immediatamente dal re vandalo e di consegnarla nelle sue stesse mani.

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Bellissima la rappresentazione di Iside che allatta Horus. Quanto vicina a certe immagini medievali della Beata Vergine...

Arka

L'accostamento fra la Madonna e Iside, per vicinanze iconografiche o per titoli ad esse attribuiti può apparire suggestivo, ma è, nei contenuti, improprio.

Le due figure, per i rispettivi credenti dell'epoca, erano palesemente distinte e differenti, e, in base alle testimonianze che abbiamo, mai confuse o assimilate fra di loro.

Non abbiamo nei primi secoli sostituzioni del culto di Iside con quello della Vergine.

Ricorda Epifanio che Maria è una creatura, da venerare sì, ma non da adorare come una dea «Sia pure onorata Maria, mentre invece il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo debbono essere adorati. Nessuno si permetta di adorare Maria» (Panarion 78,24; 79,5 e 7).

Isidoro di Pelusio, più tardi, illustra la differenza sul piano morale tra la maternità di Iside, che ha concepito «nella libidine e negli amori più nefandi», e quella mariana, che ha concepito «in maniera assolutamente unica» e senza macchia. Isidoro insiste che Maria è donna, non dea (Epistola 1,54 e 3,176).

Oltretutto, Maria è una Vergine, Iside no.

Iside è una maga, ha poteri magici, Maria non ha alcun potere soprannaturale, è un essere umano. Iside rianima il cadavere di Osiride con i suoi rituali, Maria non compie mai azioni simili.

Iside offre insegnamenti segreti ai suoi seguaci, Maria non ha “misteri” da proporre.

Di tutte queste differenze i cristiani erano ben consci e Clemente Alessandrino all'inizio del III secolo, quando i vari culti sincretistici e misterici impazzavano per l'Impero, non esita a condannare Iside a motivo delle immoralità di lei e delle orge dei suoi seguaci.

Che esista similarità fra l'immagine di Maria con Cristo in braccio e quella di Iside con Horus (che per inciso non è nato il 25 dicembre, ma a seconda delle fonti in agosto o a novembre) è, francamente, poco rilevante: aldilà degli oggettivi elementi di differenza già ricordati, la sola somiglianza, di per sè, è ben lungi da indicare una dipendenza: avrebbero altrimenti ragione quelli che, su questa scia, collegano le piramidi azteche e quelle egizie solo perchè sono tutte....piramidi.

Lo stesso concetto di Dea Madre cui si vorrebbero ricondurre molte figure delle mitologie antiche, da Iside a Cibele fino ad infilare nel gruppo anche la Madonna, risulta oggi essere un costrutto che sempre meno trova riscontro fra gli studiosi (casca a fagiolo l'intervista di questo mese su Archeologia Viva a Giovanna Greco, che afferma decisamente come questo tipo di assimilazioni siano inesatte).

Forse, superficialmente, Iside e Maria potevano apparire simili ad un pagano che non conoscesse bene né l’una né l’altra, ma gli adepti della dea egizia e i cristiani sapevano benissimo di essere seguaci di culti diversi.

Neanche si può pensare che, banalmente, Maria venisse usata come “nuova Iside” per compiacere ex pagani convertiti di fresco: se c’è qualcosa che caratterizza le testimonianze degli antichi pagani riguardo i cristiani è il racconto della pervicace convizione di questi ultimi di essere “diversi” nel loro adorare il Cristo e l’orrore che provavano per i culti , i sacrifici e i misteri allora in voga. Che potessero –scientemente o meno - utilizzare la figura di Maria per scopi sincretistici è illogico, oltre che dottrinalmente non rilevato.

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Condivido quanto ha scritto Druso Galerio: non esiste nessuna sovrapposizione d'identità tra Maria madre di Gesù e Iside. La figura di Maria venne tratteggiata nei suoi aspetti fondamentali dal Concilio di Efeso: sino ad allora era totalmente ignorata.

La devozione a Iside era molto radicata tanto in alcuni settori popolari, che ne percepivano solamente gli aspetti più ludici e superficiali quale, ad esempio, la celebrazione del carrum navalis (carnevale), quanto presso gruppi di iniziati ai riti misterici. Come avvenne in tante altre situazioni, quando il cristianesimo non fu capace di "far sparire" una celebrazione pagana fortemente radicata nel popolo, allora la assorbiva. E' quello che avvenne con il Natale (genetliaco del Dio Sole) e con un gran numero di altri casi.

Per quanto concerne Iside, alcuni aspetti del suo culto, ad esempio le invocazioni, furono assorbite dal culto mariano. Alcune delle invocazioni che ho posto in bocca a Creusa, tratte tal quali da papiri egizi, sono entrate a far parte delle litanie del rosario; altre che riproporrò tra breve (sempre in bocca a Creusa) saranno estratte dall'Inno a Iside del III secolo aC presente in un papiro trovato a Nag Hammadi. Anche le espressioni Vas spirituale, Vas honorabile e Vas insigne devotionis sono comuni al culto isiaco e a quello mariano, e con il medesimo simbolismo: vas sta per utero.

Anche l'iconografia di Iside Madre spesso fu modello per quella mariana.

Tutto ciò non vuol dire che il culto mariano sia una trasformazione o stia in continuità con quello isiaco, in quanto sono de culti affatto diversi e incompatibili tra loro.

Per quanto concerne la verginità, Iside era vergine, seppur madre, e concepì Horus prima ancora di nascere lei stessa. Ci troviamo di fronte a un culto misterico e, quindi, non ha senso contestarne la logica materiale, ma va letto in chiave simbolica. Nello stesso modo, non ha senso confutare che Maria non poté restare vergine dopo aver partorito Gesù: anche il culto mariano per molti suoi aspetti sostanziali è un culto di tipo misterico e nella stessa religione cristiana sussistono aspetti propri delle fedi misteriche.

E' interessante notare che di tutte le divinità pagane, Iside è l'unica ad essere sopravissuta sino al giorno d'oggi, esistendo ancora alcuni gruppi (molto chiusi e di tipo iniziatico) dediti alla celebrazione dei misteri isiaci, uno dei quali si trova proprio a Roma e un altro a Parigi.

Infine credo vada sottolineato che il giudaismo è una religione nella quale il divino ha una valenza esclusivamente e marcatamente maschile (e così pure l'islamismo). Sin dal II secolo nel cristianesimo affiorò l'esigenza di incorporare nel divino anche la femminilità ed è proprio a questa esisgenza che il concilio di Efeso, proclamando Maria Theotókos, dà una precisa risposta.

Modificato da antvwaIa
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Come avvenne in tante altre situazioni, quando il cristianesimo non fu capace di "far sparire" una celebrazione pagana fortemente radicata nel popolo, allora la assorbiva. E' quello che avvenne con il Natale (genetliaco del Dio Sole) e con un gran numero di altri casi..

Evitando di andare troppo off topic, ti lascio un link dove puoi trovare, alla pagina indicata e seguente, una discussione riguardo (anche) l'origine del Natale:

http://www.lamoneta.it/topic/98403-la-religione-sulle-monete-di-costantino-i/page-2

Sono tra coloro che affermano che il Natale del Sole Invitto non sia affatto un precedente del Natale Cristiano, e che quest'ultimo sia precedente al primo, e non il contrario come spesso si dice.

Per non ingolfare questa discussione magari se ti va possiamo scambiarci ulteriori opinioni via pm :-)

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Volentieri, grazie.

Sull'iconografia di Isis Lactans segnalo questo bellissimo volume: V.TranTamTinh, Y. Labrecque e V. TamTinhTran. Isis Lactans, Corpus des Monuments Greco-Romains d'Isis allaitant Harpocrate (Études préliminaires aux Religions Orientales dans L'Empire), Brill Academic Publishers, 1973.

Più genericamente sul tema isiaco ho utilizzato la seguente bibliografia:

Alföldi, Andreas. A Festival of Isis in Rome under the Christian Emperors of the IVth Century, Institute of Numismatics and Archaeology of the Pázmány-University, Leipzig, 1937

Apuleio. Metamorfosi o L’Asino d’oro

Biondi, Graziano. Nietzche e il mistero di Osiride secondo Erodoto e Plutarco, in Idee - Rivi­sta di Filosofia, pp 121-146, n. 48, settembre-dicembre 2001.

Capotummino, Umberto. Horus il Giovane e il silenzio iniziatico, www.esonet.org/studi...iniziatico

Clerc, Giselle. Isis-Sothis dans le monde romain, in Hommages à Maarten J. Vermaseren, Ed. Boer-Edridge, Leiden 1978

Coarelli, Filippo. Iside Capitolina, Clodio e i mercanti di schiavi, in Alessandria e il mondo ellenistico-romano, Istituto di Archeologia dell’Università di Palermo, 1992.

Galimberti, Alessandro. The pseudo-Hadrianic epistle in the Historia Augusta and Hadrian’s religious policy, in Hadrian and the Christians, Ed. Marco Rizzi, New York 2010

Hidalgo de la Vega, M.J. Comentario sobre el libro XI de las Metamorfosis de Apuleyo, in Studia Histórica. Historia Antigua, Universidad de Salamanca, 1983

Hidalgo de la Vega, M.J. Iniciación religiosa e interiorización de la dependencia en las Memamorphosis de Apuleyo de Mandara (Libro XI), in Studia Histórica. Historia Antigua, Universidad de Salamanca, 2007

Icardo, Manuel. El mito de Isis, www.albaiges.com/religion/mitoisis.htm

Martín Valentín, Francisco. Las instituciones religiosas paganas en el Egipto Romano, http://www.culturaclasica.com/?q=node/1612

Saura Zorrilla, Domingo. Harpócrates y la iconografía del poder imperial en las acuñaciones nomaicas de Trajano y Antonino Pío, en Historia Antigua, tomo 19-20, 2006-2007.

Rachewiltz, Boris e Partini, Anna Maria. Roma Egizia, Ed. Mediterranee, Milano 1983

Wessetzky, Vilmos. Considerazioni a proposito dell'idria di Egyed, in Alessandria e il mon­do ellenistico-romano, Istituto di Archeologia dell’Università di Palermo, 1992.

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Evitando di andare troppo off topic, ti lascio un link dove puoi trovare, alla pagina indicata e seguente, una discussione riguardo (anche) l'origine del Natale:

http://www.lamoneta.it/topic/98403-la-religione-sulle-monete-di-costantino-i/page-2

Sono tra coloro che affermano che il Natale del Sole Invitto non sia affatto un precedente del Natale Cristiano, e che quest'ultimo sia precedente al primo, e non il contrario come spesso si dice.

Mi sono letto la discussione che hai citato. Sono d'accordo con te quando neghi che il cristianesimo sia una religione con aspetti di sincretismo e quindi non penso che ci sia stato sincretismo tra cristianesimo e culti pagani. Diverso è il caso in cui, non riuscendo a sopprimerli a causa della loro radicazione popolare, il cristianesimo incorporò riti pagani, ovviamente dando loro una significazione cristiana. Penso che questo sia il caso del natale, identificato con il 25 dicembre ovvero con l'inizio (approssimativo) del nuovo anno solare. Che questa incorporazione sia avvenuta in Oriente prima che in Occidente, non mi stupisce, in quanto era proprio in Oriente che i culti solari (di derivazione persiana) erano più diffusi.

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Onestamente però mi pare che le testimonianze di questa incorporazione siano fragili e in alcuni casi contraddittorie, basate come nel caso di Iside su somiglianze apparenti.

Tanto più nello specifico della data del Natale, le prove che lo vedrebbero come una sovrapposizione alla festa del Sole sono abbastanza discutibili, come appunto riportavo nella discussione linkata.

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  • 2 settimane dopo...

Tu che sei prima e ultima, venerata e disprezzata, santa e prostituta, sposa e vergine, madre e figlia di tua figlia, prolifica benché sterile, sposa e nubile, santifica e scandalizza; Iside Madre ancestrale, che hai dato alla luce senza mai partorire, come non esserti grata per avermi dati la tua benevole protezione? Io, umile ancella al servizio del re Genserico, ho viaggiato per terra e per mare e ora – quando mai avrei potuto immaginarmelo! – mi trovo insieme al mia padrone e benefattore alle porte di Roma. Fui la sua serva e ora mi tiene al suo servizio quasi fossi una figlia. E’ buono il mio signore, re di Cartagine e di tante genti. Celebra l’abilità delle mie dati e la forza del mio polso; dice che solo le mie mani recano sollievo ai dolori che affliggono il suo corpo e ora sempre mi vuole seco. Da una decada e un lustro al suo fianco, ho imparato a volergli bene come un padre: cessata ogni finzione, il re sa bene ch’io comprendo ogni cosa che mi dica nella lingua degli asdingi, così come in quella degli alani, e se un giorno fui l’orecchio di Roma, ora sono fedele solo al mio sovrano.

Ieri venne una delegazione da Roma: supplici come mendici, c’era il conte delle guardie pretoriane del Sacro Palazzo e Leone, il grande vescovo di Roma che Genserico abborrisce a causa delle eresie che professa. A me fece togliere il simularco di iside che portavo al mio collo, appeso con una cordicella, ma sa bene che mai cancellerà la grande Dea Madre dal mio cuore: meglio pagana che cattolica, mi dice ridendo.

I due delegati furono ammessi alla sua presenza soli, senza alcun seguito, e il conte dovette lasciare fuori il suo gladio. Il re li ricevette in compagnia del suo figliuolo, il principe Unerico, e di altri due cortigiani: mi fece cenno di restare e di riempire il suo boccale con la birra spumeggiante portata da Cartagine, e non ne offrì ai due supplicanti, che fece restare in piedi, essendo egli e la sua piccola corte comodamente seduti su troni resi morbidi da ricchi cuscini. Mi sorprese il fatto che il mio signore Genserico mi facesse cenno di restare, ma poi compresi che la mia presenza era per umiliare i due supplici.

Fece avanzare il conte e gli chiese a che fosse venuto: porto un messaggio dell’augusta Licinia Eudossia, mia signora, fu la risposta. Quindi s’avvicinò e gli porse un rotolo. Il sovrano lo lesse, poi lo passò al principe Unerico e questi, dopo averlo scorto a sua volta, agli altri due nobili che lo accompagnavano, alano il primo e asdingo il secondo. Infine il nobile Genserico disse al conte dei pretoriani che portasse il suo benevolo saluto all’augusta Licinia Eudossia e alle sue figliole e che attendesse la risposta che avrebbe dato alla missiva.

Il potente vescovo di Roma, Leone, che in quanto discendente di Pietro riteneva e pretendeva di essere al di sopra di tutti gli altri vescovi, siano essi ariani o cattolici, nel frattempo era rimasto in silenziosa attesa, con il volto rivolto al suolo. Solo dopo che il re Genserico, mio signore, diede per concluso il colloquio con il conte del Sacro Palazzo, fece cenno al vescovo di avvicinarsi. Cosa desidera da noi questo eretico? Gli disse a mo’ di saluto. Non vediamo al tuo lato San Pietro e neppure San Paolo. Forse che Genserico è da meno del re Attila? E mentre il mio signore così lo scherniva, i cortigiani ridevano. Quindi, mentre il vescovo rimaneva silente, mi fece cenno ci riempire con birra i loro boccali. Raccontami, dunque: San Pietro e San Paolo erano accanto a te quando ti recasti dal sovrano degli unni? O piuttosto non gli vedesti neppure il volto, poiché rifiutò di riceverti? E’ questa la sola verità, che con il re Attila non ti sei mai incontrato. Perché allora menti? Perché vuoi far credere che rinunciò a marciare su Roma convinto dalle tue ispirate parole... e dai due Santi, naturalmente! Perché non dici il vero? Che l’Unno rinunciò a Roma in cambio di più oro di quanto ne avrebbe trovato nella città?

Non ho mai detto quanto mi si attribuisce, gli rispose il vescovo Leone, né io fui mai ricevuto da Attila, che abbandonò in cambio dell’oro il suo scellerato progetto di mettere a ferro e fuoco anche Roma, come già aveva fatto con Aquileia. Ma ora voi mi avete ricevuto e io sono qui, in nome del popolo romano, a supplicarvi di risparmiare la città e le sue genti in cambio delle ricchezze che possiamo darti. Il popolo di Roma m’ha incaricato di farti una proposta: spalancheranno le porte della Città e quelle di tutti i palazzi se voi v’impegnerete a rispettare la vita dei suoi abitanti, la virtù delle sue donne, i beni della Chiesa e a non distruggere la città stessa, le sue case, i suoi palazzi...

Ben m’avvidi come la proposta del vescovo sorprendesse il mio nobile signore. Dunque mi offri la resa della città e tutti i suoi beni in cambio della vita dei suoi abitanti... già... e anche del rispetto dei beni della Chiesa... Evidentemente più ti premono gli ori dei tuoi templi eretici, che mi sono più invisi di quelli dedicati agli dei pagani, che i beni dei tuo gregge... E chi sei tu per farmi questa proposta? Forse ora al vescovo di Roma è stata conferita la porpora? O anche tu sei pronto a fuggire come fece quell’indegno assassino che pretese di essere imperatore? Con Valentiniano or sono tredici anni sottoscrissi un patto, e lo mantenni, anche se lui non sempre mantenne tutto quanto sottoscritto, e quale amico del solo legittimo imperatore, barnaramente ucciso, io ora sono qui per vendicarne la memoria...

Poi il mio sovrano si rivolse nuovamente al conte dei pretoriani: dimmi dunque, ora il vescovo di Roma è forse il nuovo augusto? No, mio signore, risposte il conte del Sacro Palazzo, né l’augusta Licinia Eudossia sapeva di questa proposta che anche a me giunge nuova e mi sorprende. Ma è pur vero che il popolo di Roma è pronto ad accettare le vostre condizioni purché la Città non sia messa a ferro e a fuoco e la sua gente sacrificata.

Allora Genserico si rivolse alla Corte che lo affiancava dicendo: ecco che l’impero e la chiesa di Roma sono qui supplici come donniciuole, rinunciando alla battaglia e al loro stesso onore! Ecco Roma, che un tempo davanti a lei tremava e si prostrava il mondo intero. E dopo queste parole, fece cenno ai due messaggeri che se ne andassero e diede per terminato l’incontro”.

Modificato da antvwaIa
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Ma forse è il caso di presentare alcuni altri protagonisti della nostra vicenda. Sono Galla Placidia e i suoi due figli: Valentiniano e Onoria.

I loro volti ci sono noti poiché è giunto sino a noi una miniatura con il loro ritratto, opera di Bounneri Kerami, pittore della corte di Costantinopoli che verso il 433 era in visita a Ravenna. La miniatura è inserita nella Croce del re longobardo Desiderio ed è conservata nel Museo Civico di Brescia.

Una sola nota @@antvwaIa

A quanto pare ormai (vedi l'ultimo studio di Gemma Sena Chiesa) il medaglione di Bounneri Kerami è stato datato con certezza al 230-250, quindi è definitivamente tramontata la tralatizia ipotesi secondo cui potesse rappresentare la famiglia di Galla Placidia...

Modificato da Gallienus
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Una sola nota @@antvwaIa

A quanto pare ormai (vedi l'ultimo studio di Gemma Sena Chiesa) il medaglione di Bounneri Kerami è stato datato con certezza al 230-250, quindi è definitivamente tramontata la tralatizia ipotesi secondo cui potesse rappresentare la famiglia di Galla Placidia...

Per piacere, hai gli estremi di questo studio? Grazie.

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Riprendo qui una discussione che si stava svolgendo nel topic sulla vittoria vandala di Genserico.
Sullo specifico di Attila e del suo non incontro, rimando a Zecchini, ma non solo a lui.

Nel V secolo Leone, per quanto potente, era il vescovo di Roma, primus inter pares, ma non era ancora un papa, inteso come monarca assoluto. I vescovi di Roma non solo non primeggiavano nei confronti dei vescovi di Costantinopoli, Antiochia, Efeso, Alessandria, ma anche quello di Lione spesso godette di un'autorità pari alla loro, e talvolta anche maggiore, E' con la fine dell'impero d'Occidente che il vescovo di Roma si converte in un sovrano assoluto nei confronti dell'intera chiesa cattolica, ciò che è alla base della separazione della chiesa ortodossa, dove i vescovi mantengono un'autonomia elevata nei confronti dei patriarchi.
Il primo passo verso la trasformazione da vescovo a papa lo assicurò proprio l'appoggio di Galla Placidia.
Un secondo passo fu certamente grazie al comportamento di Petronio Massimo che lasciò in totale sconforto la città di Roma, poiché nessuna autorità civile dava disposizioni, i patrizi scappavano, l'esercito romano si trovava forse a Milano ma, soprattutto, era acefalo e i due generali più potenti, Ricimero e Maggioriano, gareggiavano tra loro per assicurarsi il potere: quindi nulla di strano che il popolo si rivolgesse a Leone, figura sicuramente molto carismatica, affinché "facesse qualcosa". Che l'idea di "Roma città aperta" fosse sua, è molto probabile, ma che Genserico si accordasse con lui è impensabile. Probabilmente lo ricevette, ma per offenderlo, non certamente per dialogare con lui: nel 455 Genserico era ferocemente anti-cattolico e la sua posizione diventa meno intollerante solamente una decina d'anni più tardi, quando si giunge a un accordo reciproco di tolleranza con l'imperatore d'Oriente. Inoltre Genserico era un sovrano che stipulava accordi solamente con un altro sovrano: stipularlo con un vescovo lo avrebbe sminuito e indebolito davanti alla sua stessa corte. Dunque la logica ci dice che l'idea di una resa condizionata di Roma poté nascere da Leone, ma l'accordo fu sottoscritto con un'autorità civile, ipotizzo che sia stato con la stessa Licinia Eudossia.
Genserico non aveva forze sufficienti per assediare Roma e infatti i patrizi in gran parte fuggirono. Anche l'augusta sarebbe potuta fuggire a Ravenna con le sue figlie, ma non lo fece: credo che non lo fece in quanto stipulò un accordo con Genserico e ebbe fiducia nella parola data dal sovrano vandalo. Su questo terma ci sono dei buoni lavori all'inizio del '900.
Il terzo e definitivo passo che trasforma il vescovo di Roma in papa è dato dalla scomparsa dell'impero d'Occidente. Nel vuoto di potere che si produsse, il vescovo di Roma assunse gran parte delle prerogative imperiali.

Nella biografia di Onoria scrissi la seguente nota, che vi ripropongo:
"Il potere pontificio (in senso assolutista) comincia ad essere costruito con lavvento di Siricio (384) sul trono di Pietro: nei suoi 15 anni di pontificato, la cattedra di Roma subì una profonda trasformazione in senso autocratico. Pochi mesi dopo la sua elezione, per la prima volta avvenne che il vescovo di Roma scrivesse ad un altro vescovo, Imerio di Tarragona, decretando anziché opinando, ovvero non più come un vescovo che si dirigeva ad un altro vescovo, ma quale sovrano che disponeva di un sottoposto. Questa lettera, che porta la data 11 febbraio 385, costituisce il primo decretale pontificio e in essa risalta lo stile del monarca assoluto che accumula precise espressioni di comando o di divieto con tono ampolloso e patetico, senza addurre i motivi giuridici degli ordini dellautorità [espressa dallo stesso Siricio], la cui volontà è legge che non abbisogna di altre giustificazioni. [] Le risposte di Siricio ai quesiti di Imerio sono in forma di veri e propri ordini sulla forma delle lettere imperiali; esse non soltanto espongono e inculcano il vigente diritto ecclesiastico, ma decidono i casi dubbi e creano un nuovo iure.( F.X. Seppelt e G. Schwaiger, Storia dei Papi, 3 voll., Ed. Mediterranee, Roma 1975). E nel 386 a Roma si tenne un Concilio che affermò categoricamente il primato del vescovo di Roma su tutti gli altri: colui che occupava la cattedra romana non era più solamente un vescovo, ma anche e soprattutto era il Pontifex Maximus. Giustamente molti storici vedono in Siricio il primo vero papa. Con Siricio nasce un sodalizio molto stretto tra potere papale e potere imperiale. Non dimentichiamo che allora limperatore era Teodosio I, colui che fece del cristianesimo la religione di stato e che per primo perseguitò coloro che non aderivano al cristianesimo. Con l'accoppiata Siricio-Teodosio il cristianesimo diventa integralista. Scompare anche l'ultimo culto misterico che ancora sopravviveva, quello isiaco, che si trasforma nel culto mariano (ciò che non può essere soppresso, lo si trasforma).
Lenergico e coraggioso Innocenzo I (401-417), quando nel 410 Alarico entrò in Roma, abbandonata dallimperatore che si era rinchiuso in Ravenna, fu colui che affrontò il sovrano goto, mitigandone la rapacità e presentandosi agli occhi dei romani quale vero defensor Urbis, al posto dellinetto imperatore e del Senato, preoccupato unicamente di mettere a salvo le ricchezze dei suoi membri. Con Innocenzo I per la prima volta il papato costituì un potere politico di riferimento, più credibile ed efficace dello stesso potere imperiale. Ma la lotta per il primato della Chiesa sul potere imperiale fu per molti versi portata a pieno compimento da Leone Magno (440-461) in una situazione molto simile al passato, quando Genserico saccheggiò Roma, priva di un imperatore. Mentre Innocenzo I fu il primo papa [ma] in modo estremamente embrionale, [] in Leone I le caratteristiche e le funzioni storiche del pontefice romano appaiono a uno stadio di sviluppo inequivocabile e netto. [] Leone non fu soltanto il primo papa perché nessun suo predecessore lo eguagliò nellattribuirsi esplicitamente questo ruolo e nel realizzare le funzioni conseguenti, ma anche e soprattutto perché egli anticipò in se stesso, in modo esemplare, costituendo addirittura il prototipo per i secoli a venire, la figura ideale del pontefice romano(Claudio Rendina, I papi, Storia e segreti, Ed. Newton, Roma 1993). Leone Magno perseguì sino alla sua morte lidea di convertire limpero romano in una teocrazia dove limperatore sia il braccio esecutivo del papa, sommo e incontrastato vertice del potere. Nella misura in cui il vescovo di Roma si converte in un monarca per tutto limpero cristiano, e quindi andando anche oltre il limes romano, lUrbs diventa piccola per ospitare due sovrani, a meno che uno non sia, di fatto, sottoposto allaltro. Ecco la ragione per cui Leone Magno e i suoi immediati successori, Ilario (461-468) e Simplicio (468-483), parimenti energici e autocratici, usarono di tutto il proprio potere per far sì che almeno a Roma sedesse un imperatore debole, pronto ad accettare la loro autorità, non solamente in termini morali, ma anche civili, legiferando conformemente allinteresse del papato. A questo punto, l'agiografia cattolica "riscrisse" progressivamente la storia della chiesa per dare un'inesistente continuità a un primato che va da Pietro in avanti.
I pontefici non sarebbero stati peggiori governanti degli imperatori. Al contrario, forse sarebbero stati anche migliori, se non fosse che, nella loro visione escatologica, i barbari costituivano la spada divina che castigava un impero peccatore, in quanto empio nei costumi ma, soprattutto, tollerante verso le eresie. Il papato impose agli imperatori dOccidente di dedicare quelle risorse viepiù scarse, per edificare Chiese e Oratori e combattere le eresie, piuttosto che per difendere militarmente limpero agonizzante. Addirittura, nella loro visione non ci si sarebbe dovuti neppure opporre ai barbari, in quanto comunque era la volontà divina che sarebbe prevalsa: pertanto era assai più utile, come affermava Leone Magno, riunirsi nelle Chiese raccolti in preghiera, piuttosto che rafforzare le legioni. Se poi limpero crollava trafitto dagli spadoni gotici, era Dio a volerlo e, alla fine, sarebbe stato a fin di bene per purificare lumanità peccatrice e, attraverso la furia barbarica, redimerla. In Occidente simpose il primato della Chiesa sul potere imperiale e in venticinque anni limpero crollò. Fu così che figure imperiali altrimenti valide Avito, Maioriano e Antemio avversate dal Senato e dal Papato, rinunciarono alla res publica per concentrarsi solo sulla propria sopravvivenza. In Oriente, invece, il primato restò nelle mani degli imperatori e limpero sopravvisse
".

Non esiste una reale continuità "dinastica" tra Pietro e i successivi vescovi di Roma. Invece si può vedere una relativa continuità del pontefice Simplicio nei confronti dell'imperatore Romolo Augusto. Simplicio fu il primo pontefice che avocò solo a se stesso la possibilità di creare vescovi, entrando in conflitto con numerosi altri vescovi che si sentirono relegati a una funzione subalterna, in modo particolare quello di Ravenna.

Quando concluderò questa discussione, tra 2 o 3 post, porrò la bibliografia che sto utilizzando, circa un centinaio di testi. Nonostante il linguaggio "romnanzesco", sto cercando di usare quanto meno sia possibile la fantasia e di attenermi alla realtà, con la sola eccezione del personaggio Creusa che è del tutto fittizio.
Ovviamente, respinta l'idea di un accordo siglato tra Genserico e Leone, poiché l'accordo di fu, immaginare che sia stato sottosdcritto con Licinia Eudopssia è una mia ipotesi priva di riscontri storici, ma è quella che mi pare la più ragionevole, non esistendono altre.

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Per piacere, hai gli estremi di questo studio? Grazie.

"La Croce di Desiderio: gemme classiche e altomedievali", pp. 147-218, in "Gemme dalla corte imperiale alla corte celeste", a cura di Gemma Sena Chiesa, pubblicazione dell'Università degli Studi di Milano, 2002.

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Giuseppe Zecchini, a differenza di altri storici, non nega che anche Leone fosse presente nell'incontro che avvenne con Attila, ma ritiene che l'importanza della sua presenza fosse marginale rispetto a quella, invece sostanziale, di Gennadio Avieno, principale esponente della pars anicia, il "partito" più ricco della società romana occidentale, in grado di finanziare il ritiro di Attila, e di Trigezio, uomo molto legato a Ezio. Giocarono in tándem: Avieno offrendo denaro in cambio del ritiro e Trigezio minacciando l'arrivo di Ezio con un esercito. Leone, ammesso che fosse pure lui presente (ciò che altri storici negano), non ebbe nessun ruolo, neppure marginale, giacché la sua autorità morale per Attila, pagano, non aveva alcun valore.

Ciò che davvero convinse Attila a cogliere l'occasione che gli fu oferta, incamerare un mucchio di oro e tornare in Pannonia (minacciata dall'esercito di Marciano) fu il fatto che i suoi soldati unni erano tutti alla disperata ricerca di cespugli dove cagare, in quanto in preda di una epidemia di dissenteria (forse tifo), ma Attila temette che si trattasse di peste.

Dunque a fermare davvero Attila fu la cacca, prodotto organico troppo spesso ingiustamente bistrattato (forse in quanto si tratta di prodotto inflazionato dalla classe dirigente itálica)...

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E' interesante sottolineare che sulla figura di Attila esistono due immagini quasi contrapposte. Una è quella degli autori bizantini, per lo più cronológicamente vicini ai fatti narrati, per i quali Attila è una figura "tutto sommato positiva, un interlocutore certo pericoloso e temibile, ma leale, con cui si poteva trattare e che manteneva fede ai patti...; un grande ... che poteva avere momenti di dureza, di ferocia, ma che sapeva anche essere magnánimo, che incuteva reverenza con il suo comportamento" (Zecchini).

Per la storiografia occidentale, per lo più ecclesiastica e posteriore, Attila è il "flagello di Dio" (Lupo di Troyes, sec. X), oppure derivata dagli scritti di Giordane (goto e quindi avverso agli unni, VI secolo, che forse fu vescovo di Crotone): tutti autori pregiudizievolmente avversi ad Attila e che parteciparono al progetto teocrático avviato da Leone I e protrattosi sino al X secolo, al cui fine servì esaltare la figura di Leone stesso contrapponendola alla "ferocia" di Attila o di Genserico.

Nel caso di Attila, non esiste nessun aspetto della personalità o del ruolo di Leone che potessero interessarlo in qualche modo, né Attila mostrò mai alcun interesse per la religione. Nel caso di Genserico, egli era un fervente ariano e per gli ariani i cattolici, tanto d'occidente come d'oriente, erano anche più invisi dei pagani o dei giudei e la cosa era reciproca. Il primo eretico bruciato sul rogo in quanto tale, fu un ariano condannato a tale suplizio da Magno Massimo. Quando si stipulò un trattato tra vandali e impero d'Oriente (con Genserico, ma in questo momento non ricordo l'anno) per una reciproca tolleranza, i rapporti interni migliorarono per tutte le confessioni religiose. Con Guntamundo si tornò a una fase d'intolleranza verso i cattolici, ma fu anche in rappresalia alla rinnovata intolleranza verso gli ariani nell'impero d'Oriente. La comunità giudea nel mondo bisantino soffrì molte persecuzioni (quella alessandrina, la più importante in quell'epoca, fu totalmente sterminata su istigazione del vescovo Cirillo), mentre nel regno vándalo non fu mai molestata.

Circa gli incontri di Leone con Attila o con Genserico, prima di prestare fede a quando scrivono gli storici del mondo antico, bisogna domandarsi quale potesse essere l'atteggiamento psicológico degli interlocutori stessi e cosa avessero da offrirsi reciprocamente in una tratativa. Ad Attila e a Genserico veniva richiesto di rinunciare a Roma: ma cosa poteva offrire il vescovo Leone in cambio di questo ritiro che fosse di loro gradimento? Nulla.

Quando un interlocutore non ha nulla da offrire ad un altro, è improbabile che ci possa essere una tratativa, poiché morrebbe sul nascere. Poiché Leone non aveva nulla da offrire ad Attila, dubito che abbia partecipato all'incontro che ci fu sul Mincio, o sefu presente, la sua presenza fu del tutto marginale. A Genserico offrì una proposta concreta e interesante, di fatto si trattava niente di meno che della resa di Roma!, ma con quale autorità poteva fare tale proposta? Genserico formalmente giunse a Porto per vendicare l'uccisione di Valentiniano e, quindi, il rispetto dell'autorità imperiale: sottoscrivere un accordo con Leone sarebbe stato totalmente contraddittorio con la motivazione addotta per giungere alle porte di Roma. Tale accordo era per lui molto vantaggioso, ma doveva essere sottoscritto con un'autorità che almeno formalmente rappresentasse l'imperatore Valentiniano, anche se morto, non essendo riconosciuta legittimità alla proclamazione di Petronio, per altro non riconosciuta neppure dall'Oriente.

Il punto fondamentale è: quale autorità a Roma poteva rappresentare continuità giuridica con Valentiniano?

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scusate, non voglio riportare il discorso su binari errati, ma leggo solo ora, e vorrei dare una veloce risposta a Druso Galerio che scriveva che l'accostamento Iside-Madonna è improprio.

questo è vero solo in parte, perché trattasi di sovrapposizione parziale e non totale, il cristianesimo come iconografia, teogonia e passatemi il termine "mitologia", riprende quasi tutto dal passato, culti misterici in primis, e ne fa un mix.... la verginità infatti non è da Iside, ma dalla madre di Mitra. Maria ha gli attributi soprattutto di Iside + la madre di Mitra + molte delle forme locali che prendeva il culto di Giunone (e non solo lei dal pantheon romano....)

nel cocktail buttate: mitraismo, Iside, Osiride, Orfismo (anche per l'importanza data al libro/testo scritto) e un pizzico di ebraismo. Agitate tutto dentro a un contenitore proveniente da oriente, e avrete un buon 75% del cristianesimo. :-)

per chi non lo conoscesse consiglio vivamente la lettura del Papiro di Derveni - testo Orfico almeno del III sec a.C.

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sono accostamenti che hanno spesso origine da studi non propriamente affidabili, datati, magari inficiati in parte da polemiche religiose..il tema e' molto, molto piu' complesso, e per gran parte inadatto ad un forum di numismatica.

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Che il tema sia complesso è sicuramente vero, che non possa essere affrontato in un forum di numismatica non è esatto.

Faccio un piccolo esempio... In un denario di C.Considius Nonianus del 57 a.C. (Crawford 424/1) c'è una bellissima veduta del tempio di Venere Erucina, famosissima meta di pellegrinaggi. Oggi nello stesso luogo c'è una chiesa dedicata alla Beata Vergine, famosissima meta di pellegrinaggi... Un caso..?

Arka

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C'è una differenza curiosa e marcata nell'atteggiamento verso le "fonti" tra coloro che possiedono, consciamente o inconsciamente, una cultura propriamente occidentale (quindi di matrice giudeo-cristiana), e coloro che si sono formati in una cultura non occidentale. Per i primi, il riferimento al "testo antico" è di per se stesso provante e questo, credo, sia in quanto il "testo sacro" (Talmud, Torah, Vangeli, ecc.), così come la "legge scritta" (codici legali), vanno accettati letteralmente quale verità assoluta e non possono essere messi in discussione. Per i secondi, invece, poiché tanto il "testo sacro" quanto la "legge scritta" sono stati utilizzati dall'uomo occidentale per spogliarli di tutti i loro beni e a schiavizzarli, la logica e il buon senso sono assai più stimati della parola scritta, per la quale vi è sempre una certa diffidenza.

Spesso negli articoli scritti da storici vedo citare un cronista antico a sostegno di una tesi, quasi come se il fatto che essa sia supportata dalla parola scritta proveniente dal mondo antico, assicuri alla stessa credibilità o la renda verità acritica.

Tra gli storici del mondo antico ve ne sono pochi davvero attendibili, per esempio Prisco di Panion, le cui opere ci sono pervenute in modo purtroppo molto frammentario. Altri sono molto fantasiosi, ad esempio Procopio di Cesarea, e altri ancora poco rigorosi nella verifica delle loro fonti, ad esempio Giordane.

Ma forse dipende dal mio personale retaggio culturale il fatto che dò sempre priorità all'analisi logico dei fatti e attribuisco valore alla parola scritta solo quando essa è coerente con la logica.

C'è una grandissimo teologo gesuita, Alfred Firmin Loisy (1857-1940), già docente alla Sorbone, il quale soggiornò ripetutamente in Palestina. Conosceva perfettamente l'ebraico (moderno e antico), l'aramaico, l'arabo (classico e moderno), l'amharico, oltre al latino e al greco (ovviamente) e aveva un'ottima preparazione antropologica, storica e archeologica. Alla luce delle sue conoscenze, mise in discussione la credibilità di alcuni passi dei Vangeli, la fustigazione dei mercanti nel cortile del tempio o aspetti del giudizio e condanna di Gesù, dimostrando con argomenti solidissimi la loro incoerenza con la realtà storica e con la logica. Non mise, con questo, in discussione il contenuto teologico dei Vangeli, ma la loro validità storica.

Fu scomunicato e vennero proibiti i suoi libri, che sino ad oggi restano quanto di più approfondito mai scritto circa i Vangeli e le Lettere degli apostoli. La Chiesa romana giunse a proibire che il suo corpo fosse sepolto in terra consacrata.

Un destino simile lo rischiò pure un altro grande pensatore gesuita, Teilhard de Chardin (1881-1955). Evitò la scomunica, ma gli si proibì di pubblicare i suoi libri, di diffonderne le idee e di scriverne di altri.

In quanto alla libertà di pensiero nello Stato laico italiano, esiste una legge derivata dal Concordato che proibisce che nelle Scuole statali di ogni ordine e grado possano insegnare professori scomunicati: oggi la scomunica è rara, ma ci sono ancora docenti universitari che sono stati definitivamente allontanati dagli Atenei.

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un caso assolutamente no, ma da qui a pensare - per farla breve - che allora, scientemente, si siano volute incorporare alcune caratteristiche di Venere ( o chi per lei) in un nuovo culto mariano costruito a tavolino per soppiantare quello precedente, ce ne corre...dato pure che una sovrapposizione spontanea e' tutt'altro che rilevata.

Un simile processo, semplicemente, non e' avvenuto. Che si volessero estirpare i culti passati e' certo, ma la cosa non e' avvenuta tramite la semplice attribuzione di titoli o iconografia alle devozioni cristiane.

Cosa che infatti quasi mai regge alla specifica analisi antropologica delle forme - e del loro senso - dei rispettivi culti. Basarsi su semplici somiglianze/ analogie funzionali e' metodologicamente primitivo oltre che incompleto. :)

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In Chiloé i gesuiti si sono trovati di fronte a un culto radicatissimo di una dea-bambina marina: la Pincoya. All'inizio della primavera, nella piccola isola di Caguach, si celebrava un rituale (ngillatun) in onore della Pincoya. Poiché non riuscirono mai a sopprimerlo, i gesuiti inserirono una bellissima immagine del Nazareno e trasformarono il tutto in una processione cristiana. Eppure tutti gli elementi fondamentali del ngillatún rimasero intatti: la marcia pestando i piedi per scacciare i demoni dalla spianata davanti al tempi (che era la spianata dove tradizionalmente si celebrava il ngillatún), i giri intorno alla stessa, in senso contrario all'orologio, come prescitto dal rituale del ngillatún, e, soprattutto, la figura del Nazareno è preceduta da quella di una bambina (coya) sotto un arco di fiori (pin), ovvero dalla Pincoya. E' la celebrazione cristiana più importante di tutta la Patagonia, ma per qualunque persona di cultura mapuche è chiaro che si tratta del ngillatún della Pincoya!

http://www.letras.s5.com/jph100305.htm

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Purtroppo lo sfruttamento turistico riesce a uccidere gli antichi dei, sopravvissuti all'evangelizzazione cristiana. Il culto della Pincoya, quello vero, è di tipo misterico e ad esso sono ammesse solamente le persone iniziate che devono avere "sangue indio" e non essere cristiane.

A rappresentare la Pincoya viene eletta annualmente una ragazzina non ancora mestruata. Il suo ruolo è essenziale per tutto quanto concerne i prodotti del mare. La celebrazione autentica di rituali è molto rara e si fa di notte, che non lo sappia il parroco e i carabineros. Poiché la Chiesa (tanto cattolica come evangelica) non riesce a sopprimerlo, ora agisce in modo più sottile: lo ridicolizza trasformandolo in un prodotto turistico.

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Concordo in pieno con Antwala.

Non entro nel merito del cristianesimo e della validità della spiritualità cattolica, ma sicuramente la cultura di matrice giudeo-cristiana ha reso difficile l'interpretazione più sottile di altri antichi culti e non si tratta solo del solito fatto che la storia viene scritta dai vincitori....

Non è facile superare gli angusti confini di tale matrice culturale (e lo vediamo ancora oggi nel popolino italiano) e avere una visione molto ampia e autonoma. Il gesuita Loisy era un vero e grande studioso e mi dispiace veramente l'intolleranza mostrata nei suoi confronti.

Non per nulla il papa Francesco, un personaggio molto interessante e aperto, è un gesuita....

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