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È una moneta di cui si conoscono solo 32 conî per il diritto e 36 per il rovescio.

 

Venere è la madre comune di tutti i Quiriti, davanti alla quale Cupido regge la palma delle recenti vittorie che aveva procurato ai suoi figli e sotto, nell'esergo, erano segnati l'iniziale del prenome ed il cognome del vincitore: L(ucius) Sulla. Crawford osserva che Silla era particolarmente dedito al culto di Venere, tanto da essere soprannominato "Epafrodito" e di vantare anche una discendenza dalla dea (forse in quanto Romano). Cupido testimonia la natura “filiale” della devozione sillana per Venere (Campana), il ramo di palma è simbolo di vittoria (Belloni). La devozione per Venere richiama il titolo di Epaphroditos ("favorito di Afrodite"), che si riscontra nei documenti pubblici inviati da Roma alle città greche (Carcopino) e rappresentava una parafrasi del titolo Felix, attribuito a Silla, che ben esprimeva i legami che lo univano alla divinità. Mommsen (basandosi sulle fonti di Appiano) sostiene a tal proposito che i termini Felix ed Epaphroditos, entrambi ufficiali, erano traduzioni tra loro intercambiabili. “L'appellativo di Felix aveva un significato ben diverso da quello banale che oggi gli si attribuisce. Constatava la vittoria di Silla, ma soprattutto la immortalava: facendo di una fortuna incorruttibile l'eterno attributo di un uomo, l'avrebbe condannato alla vendetta divina se non lo avesse prima di tutto identificato agli dei. Che cosa si chiede ad un generale? domanderà Cicerone. Non soltanto di essere coraggioso ed abile, ma di essere anche fortunato, cioè di possedere oltre al valore una specie di predestinazione come fondamento dei meriti, loro ricompensa e superamento” (Jérome Carcopino, Silla, 2005).

Il caos generato da guerre e tensioni intestine lasciò posto al "nuovo ordine" di Silla; un'emissione aurea ed una denariale, con identico tipo del D/ e del R/, ci proiettano nel cuore degli eventi (359/1 e 2). "Veniva Silla con ira gravissima" (Plutarco) sul suolo italico a seguito della campagna mitridatica; l'iconografia monetale conferma e incrementa l'enfasi di questa frase. Al D/ appare Venere diademata, con Cupido che porta la palma della vittoria; al R/ compaiono i simboli augurali tra due trofei, con minacciosa legenda IMPER ITERV[M]. "Io, Lucio Silla, prediletto di Venere, vincitore a Cheronea ed Orcomeno, giungo alla testa dei fedeli legionari che già due volte mi acclamarono imperator", questo è il messaggio trasmesso, questo è il biglietto da visita che Silla porse ai populares al suo rientro in Italia.

Rispetto alle precedenti raffigurazioni ben diversa è dunque questa Venere, ben diverso è anche il contesto in cui il tipo fu emesso, così come lo sono sia il messaggio trasmesso che la caratura dell'autorità emittente. Venus incrementa sì l'autorevolezza di Silla, ma anche la divinità stessa esce ingigantita da un simile connubio. Non vi è più un semplice riferimento alla sola genitrice della gens Iulia ma ve ne è uno alla divinità che rappresenta il meglio dell'Urbe e gli optimates tutti; costei guidò le vittoriose armate di Roma sul suolo greco ed è colei che, scegliendo Silla quale suo prediletto, si innalzò come mai prima d'ora proprio per effetto dei grandiosi successi del suo favorito. Fu però Venere a scegliere Silla o Silla a scegliere Venere? E come mai fu una femminea divinità a giocare un ruolo così importante in questa concitata e sanguinosa serie di eventi? Va detto che il legame con Venus divenne sicuramente fortissimo a partire dall'anno 87 quando, mettendo piede sul suolo greco, Silla entrò in diretto contatto con le trascendentali ideologie elleniche. E' tuttavia ancor oggi enigmatico il reale rapporto che questo personaggio ebbe con gli dei e le fonti a lui avverse, narrandoci della sua spregiudicata irriverenza ed evidenziandoci le sue sacrileghe azioni, altro non fanno che rendere ancor più azzardato un qualsiasi giudizio. Si sa tuttavia che Silla, negli anni della pretura in Cilicia, entrò in contatto con il culto di Ma-Bellona e che, durante la sua prima marcia su Roma dell'88, non esitò ad utilizzarne la figura al fine di motivare i propri legionari. Li rese infatti partecipi del sogno da lui fatto poco tempo prima, in cui questa divinità guerriera, porgendogli le folgori, lo esortava ad eliminare gli avversari politici. Durante la seconda marcia poi, Silla chiamò in causa anche Apollo; prima della battaglia di Porta Collina infatti, estraendo un statuetta in oro del "dio splendente" presa a Delfi e che portava sempre al collo, pronunciò le seguenti parole al fine di motivare nuovamente, con ottimi risultati, i propri soldati: "O Apollo Pizio, che in tante battaglie hai innalzato a splendore e grandezza Cornelio Silla il Fortunato, lo abbandonerai adesso, che è giunto alle porte della sua patria, per farlo morire insieme ai suoi concittadini di una vergognosissima morte?".

Fu dunque un uomo animato da sincera devozione verso più divinità oppure fu uno scaltro soggetto che ben sapeva individuare per poi sfruttare ciò che i potenti dei erano in grado di offrirgli in un preciso momento? Probabilmente in lui, tanto vero ed orgoglioso quanto ambizioso e spregiudicato romano, convivevano entrambe gli aspetti, anche se non ci è dato sapere quale tra i due fosse il predominante. Qualunque fu la sua vera religiosità, giunto in terra greca dovette affrontare un valente avversario, Mitridate VI Eupatore che, secondo Plutarco, ricevette il soprannome di Dioniso per via della sua innata predilezione verso i generosi dosaggi di vino. Questa associazione appare nel nostro contesto quanto mai curiosa visto che il culto di questa istintuale divinità era visto da tempo con sospetto dai conservatori romani; Dioniso era infatti considerato portatore di principi antitetici rispetto ai mores maiorum. Si prospettava quindi uno scontro tra grandi condottieri ed al tempo stesso tra differenti culture, ciascuna con le proprie predilette divinità, che possono esser viste come la proiezione di radicate e profonde ideologie. Ecco qui emergere la Venere sillana che, legittimamente tornando nei luoghi ove concepì il figlio Enea, si presenta ora nelle vesti di protettrice del popolo da lei generato. E' quindi lecito ipotizzare che, tramite Venus, Silla intendesse legittimare la presenza romana in quelle terre; meglio di lei nessun'altro divino membro del pantheon poteva adempiere a tale importantissima funzione. Il connubio così nato non tradì le aspettative e portò grandi successi; le legioni romane imposero la propria supremazia sul dionisiaco suolo e riportarono all'ordine colui che si era ingenuamente opposto al potere del popolo di Roma.

Le emissioni Cr. 359, 367 e 368 attestano per la prima volta sulle monete il titolo di imperator.

Sembra logico che l’appellativo IMP (sulle serie 367 e 368) preceda quello IMPER ITERVM (sulla 359), invece Crawford sistema prima l’emissione 359 (datandola all’84-83, nell’ambito del secondo proconsolato, in Asia, dall’87 all’82), di quelle 367 e 368 (che data all’82), sulla base dei ritrovamenti, in effetti sul solo ripostiglio di Ferentino. L’appellativo IMPER ITERVM troverebbe allora giustificazione con la doppia acclamazione imperatoriale dopo le vittorie in Cilicia e a Cheronea nell’86. Nel 479, subito dopo la disfatta di Serse a Salamina, a Platea l'alleanza greca mise in rotta l'esercito persiano e ne saccheggiò il campo; un decimo dell'ingente bottino fu inviata proprio ai due santuari di Olimpia e Delfi, consacrati agli Dei che garantivano il tesoro delle città-Stato appartenenti alle "anfizonie". Secoli dopo Silla, dopo la presa di Atene (86), per mostrare chiaramente alle truppe che il loro capo valeva quanto il re di cui avevano sconfitto luogotenenti ed alleati, fece saccheggiare i due templi e con i lingotti depredati dai santuari della Grecia fece coniare le monete di questa serie che, per peso e bellezza, eguagliavano i migliori esemplari della numismatica orientale. Si sarebbero detti belle didracme attiche, ma d'oro, "naturalizzati" romani. Prendendo l'iniziativa dell'emissione Silla ledeva le attribuzioni del Senato, ma c'era il precedente celebre di T. Quinzio Flaminino che, dopo la battaglia di Cinoscefale (197), aveva regalato ai soldati i magnifici aurei Cr. 548/1. Silla non arrivò alla vanità di far effigiare il proprio volto, limitandosi a esaltare le proprie vittorie sotto la protezione della sua dea tutelare, ma la sua coniazione spianò la via all'emissione degli aurei: cinque anni dopo, a Roma, egli infatti estese l'emissione isolata fatta ad Atene. Le monete dell'86 potevano ancora essere considerate medaglie; quelle dell'81 saranno invece autentiche monete e rientrano nel sistema innovatore che si era formato e che esse dominano con il loro altero simbolismo. A partire da questa data le lettere EX S C scompaiono, per ordine di Silla o per compiacerlo, dalle serie di monete che il Senato continua ad emettere, come se quella grande istituzione si inchinasse al completo di fronte ad una volontà superiore. Sui suoi denarî d'argento rappresenta sul recto Venere, la dea protettrice del dittatore, e sul verso la cornucopia che riassume il programma della dittatura. Sul verso si poteva leggere il titolo di generale vittorioso con cui le truppe lo avevano acclamato per la seconda volta - imperator iterum -, decorato in alto ed in basso da trofei che avevano a lato arredi sacri: un vaso ad ansa per sacrifici (capis) ed un bastone degli auguri (lituus). L’interpretazione di capis e lituus è complessa. Normalmente rappresentano l’augurato, ma nell’86 il Senato aveva privato Silla sia del proconsolato che dell’augurato, che riconquisto solamente nell’82. Secondo Campana, è probabile che egli ritenesse illegittima la privazione dell’augurato (mentre è significativo che non usi il titolo proconsolare, che per legge poteva essere revocato). In alternativa, capis e lituus potrebbero essere simbolo, e quindi auspicio, del trionfo. Analogamente, Belloni ritiene che fosse una “tassativa pretesa”, attesa anche l’importanza politica della carica (la possibilità di trarre gli auspicia era spesso risolutiva). I trofei richiamano due delle grandi vittorie che fecero molta impressione sugli storici non romani come Plutarco e Pausania, forse in Cilicia e a Cheronea (86). Erano probabilmente gli stessi trofei effettivamente eretti dopo la vittoria di Cheronea, che fecero molta impressione nella popolazione greca; secondo Cassio Dione, comparivano anche sull'anello/sigillo di Silla. Oppure, potrebero simboleggiare le vittorie di Cheronea ed Orcomeno (85)

Thomas R. Martin, Sulla Imperator Iterum, the Samnites and Roman Republican Coin Propaganda 1989, p. 19-45, nell’esaminare il grande ripostiglio di Mesagne rileva che non c’è alcuna differenza di conservazione tale da giustificare la posposizione dell’emissione Cr. 359 rispetto alla 367. Egli ritiene che l’iscrizione IMP sull’emissione Cr. 359 si riferisca alla doppia acclamazione di Cheronea (86) e di Porta Collina (1° novembre 82) e quindi data questa emissione in Italia, dopo la vittoria che, praticamente, pose fine alla Guerra Sociale.

Assenmaker invece ritiene che l’emissione Cr. 359 sia stata coniata nell’ambito del finanziamento dell’invasione in Italia, tra la fine 84 e inizio 83, quindi negli ultimi mesi in Grecia Silla oppure subito dopo lo sbarco in Italia, utilizzando metallo e maestranze di origine asiatica. Il titolo di imperator iterum trova la sua spiegazione nelle due acclamazioni imperatoriali in Asia (come aveva sostenuto il Crawford, ma anticipando un poco rispetto alla sua cronologia) e i due trofei allora si riferirebbero alle due decisive vittorie di Cheronea e di Orchomene. Un interessante elemento è offerto dall’orientamento dei conii, costantemente rivolto alle ore 12 (le emissioni coniate a Roma non prevedono alcun aggiustamento nell’orientamento dei conii). In ogni caso tutti i ripostigli contenenti Cr. 359 appaiono confinati all’Italia, soprattutto meridionale, quindi fu una moneta destinata alla campagna d’Italia. Le emissioni 367 e 368 risalirebbero invece alla Guerra Sociale, negli anni 90 e 89

Modificato da L. Licinio Lucullo

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