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Una pubblica fusa nell'arsenale di Napoli nel 1622


Risposte migliori

.......si conosco questo prodotto ho studiato qualcosina in tecniche del restauro peccato un'esame di soli 4 cfu....... cio' che ho studiato in teoria (Ruskin, Violett le Duc ,C.Brandi) tutti questi principi non vengono quasi piu' rispettati ......e poi bisogna capire che e contro l'ordine naturale delle cose la conservazione nulla dura per sempre prima o poi tutto svanisce .....si possiamo conservare ma non bisogna aggredire l'opera cio' che resta di un monumento e esso stesso documento storico del passare del tempo sull'opera aggiunte o rifacimenti sono solo falsi storici!!! io almeno cosi' credo cerchero di risolvere il problema del cancro con i metodi che mi hai consigliato ma senza esagerare con prodotti corrosivi o lucidi!!!ciao!!!

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il problema e che l'immagine e troppo grande e non so se c'e' un metodo per diminuire il formato o almeno non ci riesco ho postato l'immagine sulla pagina di facebook di lamoneta.it ma sembra che sia stata cancellata!!

Ciao Frank, benvenuto nel forum, invia un'immagine nitida della moneta al mio indirizzo di posta elettronica [email protected] , provvederò a postarla per conto tuo. Francesco

Ciao Frank, scua per il ritardo, ecco le immagini della publica che mi hai cortesemente inviato via e-mail. A presto. Francesco

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Leggo soltanto oggi questa interessante discussione. Mi potreste rispiegare la parte, che ho quotato, per favore? Non mi è molto chiaro ed è la parte che si avvicina di più ai miei interessi :D. Grazie, in anticipo

in considerazione che non poteva essere scambiata la moneta vecchia per quella nuova, nei banchi, ad ogni immissione di nuova moneta, nella zecca rientravano un pari numero di monete nuove che venivano rifuse in pani e riconiate. In pratica con la stessa quantità di argento si fecero due tornate di coniazioni per far sembrare di aver coniato un numero doppio di pezzi rispetto alla realtà.

Scusate se intervengo in questa discussione, ma ho letto all'inizio di questa discussione che le zanette (come le chiamate) vennero sostituite dal tarì; volevo chiederVi .......questo famoso Tari che ha sostituito la "mala moneta" è per caso questo ?

post-26708-0-42411300-1320532795_thumb.j

Modificato da blonquist
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Leggo soltanto oggi questa interessante discussione. Mi potreste rispiegare la parte, che ho quotato, per favore? Non mi è molto chiaro ed è la parte che si avvicina di più ai miei interessi :D. Grazie, in anticipo

in considerazione che non poteva essere scambiata la moneta vecchia per quella nuova, nei banchi, ad ogni immissione di “nuova moneta”, nella zecca rientravano un pari numero di monete “nuove” che venivano rifuse in pani e riconiate. In pratica con la stessa quantità di argento si fecero due tornate di coniazioni per far sembrare di aver coniato un numero doppio di pezzi rispetto alla realtà.

Scusate se intervengo in questa discussione, ma ho letto all'inizio di questa discussione che le zanette (come le chiamate) vennero sostituite dal tarì; volevo chiederVi .......questo famoso Tari che ha sostituito la "mala moneta" è per caso questo ?

Ciao Bondquist, il tarì in questione è proprio questo, una moneta coniata in grande quantità, della stessa tipologia esiste anche il mezzo ducato, di cui ti allego un'immagine, e il ducato, che è invece di grande rarità e conosciuto in pochi esemplari.

post-8333-0-61960900-1320584702_thumb.jp

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Grazie Francesco

dato che ci sei, a questo punto, mi faresti vedere qualche "zanetta" ?

Altra domanda: ma era di un'altro regnante?

Modificato da blonquist
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  • 3 settimane dopo...
  • 2 anni dopo...

Approfitto di questa nuova sezione, (era ora smile.gif ) sulla monetazione partenopea per parlare di una moneta, appartenente ad una collezione privata, un po particolare...

E’ noto che all’inizio del regno di Filippo IV a Napoli, per un breve periodo, sono state attive, oltre a quella ufficiale che si trovava nel convento di Sant’Agostino, altre due officine di zecca. Una nella cittadina di Torre Annunziata e l’altra presso l’arsenale del porto della città.

Per spiegare Il motivo di queste ulteriori officine di zecca bisogna dire che a quei tempi la città fu colpita da una forte carestia dovuta ad una grave carenza di grano. Ciò a causa, oltre che agli scarsi raccolti avuti negli anni precedenti, di un persistente periodo di maltempo che, con continue piogge e mare mosso, ostacolava i rifornimenti della città sia mare che via terra. Pare addirittura che diverse navi da carico, stivate con grano ed altre vettovaglie, destinate ad alleviare la fame ed il malcontento della popolazione, facessero naufragio proprio a causa delle imperverse condizioni metereologiche ed i forti venti di scirocco. Un galeone carico, che dopo varie peripezie, riuscì ad attraccare nella piccola isola di Nisida, a pochi chilometri da Napoli, rallegrò momentaneamente il viceré il cardinale Antonio Zapata che invitò a ringraziare il santo protettore San Gennaro nel Duomo cittadino. Ma per un carico giunto altri furono destinati ad andare persi, causa, oltre il maltempo, le scorrerie di pirati turchi nelle acque del Mediterraneo. Il vicerè poi, per tranquillizzare la popolazione, fece in modo di farsi vedere in giro, ma fu proprio in uno di questi viaggi verso il duomo che si sentì apostrofare, dal popolo scontento, insulti nei propri confronti e lamentele a riguardo alla cattiva moneta circolante. Infatti i napoletani erano convinti che, oltre il problema della carestia, la crisi era dovuta proprio alla monetazione circolante, sempre più tosata ed adulterata. In particolare si riferivano ai mezzi carlini, volgarmente detti zannette o squame di pesce che ormai risultavano quasi totalmente tosati. Per far fronte a questo problema, le autorità delegarono, attraverso sette pubblici banchi, di far giungere a Napoli “tre milioni d’argento di coppella” per la coniazione di nuovi tarì che sarebbero dovuti andare a sostituire la “cattiva moneta”. Ma siccome l’urgenza di nuova moneta era tale da non poter aspettare molto, si iniziarono a coniare i nuovi tarì prima ancora di avere tutto l’argento a disposizione e questa situazione fu il preambolo ad una vera e propria truffa da parte della zecca. Infatti, in considerazione che non poteva essere scambiata la moneta vecchia per quella nuova, nei banchi, ad ogni immissione di “nuova moneta”, nella zecca rientravano un pari numero di monete “nuove” che venivano rifuse in pani e riconiate. In pratica con la stessa quantità di argento si fecero due tornate di coniazioni per far sembrare di aver coniato un numero doppio di pezzi rispetto alla realtà. Scoperto il tutto, i responsabili furono processati, e per timore di sommosse da parte del popolo, si decise di spostare la zecca di Napoli nella città di Torre Annunziata dove tra l’altro fu sperimentato il sistema della coniatura a bilanciere, ma passato il momento di crisi, la zecca fu di nuovo riportata nel convento di Sant’Agostino.

Probabilmente fu proprio in questo periodo che si decise di sfruttare anche l’arsenale di Napoli per la produzione di monete, solo che in questa sede le monete prodotte non furono coniate, ma fuse e, probabilmente, l’unica tipologia emessa, sia stata la pubblica del 1622. Questa moneta però, sia a livello estetico che economico, non rispecchiava i canoni, già poco apprezzati, dell’epoca, infatti il processo di fusione non migliorava il risultato finale della moneta, anzi li peggiorava notevolmente rendendo i tondelli irregolari ed i rilievi poco nitidi.

attachicon.gifpubblicafusa.JPG

33 mm - 23 g. - P/R 52

Veniamo ora alla moneta presentata. Come si può vedere chiaramente, la moneta risulta ottenuta per fusione e non per “battitura” ed abbiamo al D/ il busto volto a sinistra del re con dietro le sigle del mastro di zecca Michele Cavo MC ed intorno la legenda PHILIPPVS∙D∙G∙1622 mentre al R/ in una ghirlanda d’alloro, su quattro righe, la legenda PVBLI / CA /•/ COMMO / DITAS. Ulteriore particolarità di questa moneta è il suo peso di g 23, nettamente superiore alla media. Infatti, osservando i pesi riportati nelle descrizioni del CNI vol. XX, si può notare che solo in un caso abbiamo una moneta che si avvicina ad esso ed è la n°149, indicata come appartenente alla collezione Catemario, che pesa g 22,07. Purtroppo però il CNI non specifica se si tratta di moneta fusa o coniata. Un peso così alto discosta da quanto affermato dai documenti dell’epoca, infatti le monete di rame dovevano essere coniate per un controvalore di 42 grana per libbra ed addirittura sembra che nella zecca dell’arsenale il “sostituto mastro di banca” Matteo Catuogno ed il suo credenziere maggiore (addetto alla bilancia grande) Giovanni Andrea Russo, per trarne profitto, liberassero monete in rame per un controvalore di 50 grana per libbra di metallo. Quindi in base ai documenti il grano di rame doveva pesare 171 acini, pari a 7,61 grammi e quindi la pubblica presentata, considerata di un valore di 2 grana, sarebbe dovuta pesare 15,22 g, quindi non con un divario di oltre 7 grammi sul peso del nominale, senza poi considerare eventuali speculazioni di zecca. Tutto ciò mi porta ad ipotizzare che questa moneta, insieme ad altre di peso notevolmente maggiore, sia stata tra le prime ad essere emesse, quasi un saggio od una prova prima di affinare le tecniche di fusione per poter rispettare i pesi delle emissioni.

A riprova di quanto affermato vi sono i precedenti casi di monete considerate dei multipli del loro nominale proprio a causa del loro peso maggiore. Infatti, senza dimenticare i multipli di cavallo del periodo aragonese, anche durante il regno di Filippo III si riscontrano monete considerate multipli di tornese aventi un peso superiore ai 20 grammi rispetto ai g 5,25 del tornese regolare, e sotto Filippo IV vi sono altri casi di monete considerate multipli di grano a causa del loro peso di molto superiore al dovuto. La caratteristica che accomuna questi multipli è la loro estrema rarità ecco perché a mio avviso sono da considerarsi delle prove o dei saggi di coniazione.

Scusate se mi sono dilungato,

fedafa.

Spero di farvi cosa gradita postando l'immagine di un'incisione del '600 che illustra la reggia di Napoli e il "Largo di Palazzo" (attuale piazza del Plebiscito), da notare la fontana dinanzi la reggia, la stessa che verrà poi spostata in via Medina. La parte indicata dalla freccia è l'arsenale oggetto della discussione.

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Ironia della sorte, anche a Lanciano la zecca si trovava sotto un porticato in piazza del Plebiscito.

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Ironia della sorte, anche a Lanciano la zecca si trovava sotto un porticato in piazza del Plebiscito.

Waaoohhh! Interessante! :good:

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  • 3 anni dopo...
  • 2 anni dopo...
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  • 2 mesi dopo...
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  • 1 mese dopo...

Un'altra rappresentazione dell'arsenale di Napoli.

Particolare del dipinto di Antonio Joli, Partenza di Carlo di Borbone per la Spagna vista dal mare

Screenshot-20240207-165026-Gallery.jpg

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