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  1. ARES III

    Santuario di Apollo a Siena

    Siena, scoperti i resti di un grande santuario dedicato ad Apollo L’edificio risale al periodo della Roma imperiale, databile a circa 1900-2000 anni fa. L'eccezionale scoperta è stata annunciata dal Comune della Valdichiana senese Sono stai rinvenuti, nel corso di una campagna di scavi a San Casciano dei Bagni (Siena), i resti di un gigantesco santuario dedicato ad Apollo, innalzato vicino a una sorgente di acqua calda. Gli scavi sono condotti da un team internazionale diretto dal Dr. Emanuele Mariotti, coadiuvato da un comitato scientifico composto da Lisa Rosselli (Università di Pisa), Stefano Camporeale (Università di Siena), Hazel Dodge (Trinity College Dublin) e Paraskevi Christodoulou (University of Cyprus), coordinato da Jacopo Tabolli (Soprintendenza di Siena Grosseto e Arezzo). Gli archeologi stavano indagando su alcune semplici strutture termali di età romana, lo scavo stratigrafico ha invece rivelato la presenza di un recinto sacro con un meraviglioso basamento e soprattutto un'iscrizione di età imperiale che comincia con "Apollini scacrum pro salute..." Già dalla metà del XVI secolo si conoscevano iscrizioni dedicate ad Asclepio/Esculapio, Igea e soprattutto ad Apollo che celebravano le proprietà salutari delle sorgenti di acqua calda, in prossimità appunto del "Bagno Grande" di San Casciano dei Bagni. “Si tratta di una scoperta epocale per San Casciano dei Bagni - ha detto il soprintendente Andrea Muzzi - abbiamo finalmente la certezza che in questa valle sacra un grande santuario dedicato ad Apollo circondasse le sorgenti più calde". “Si deve alla caparbietà del team che ha affrontato uno scavo difficile, tra il fango e l'acqua calda, l'aver riportato alla luce le prime tracce monumentali del culto di Apollo presso il 'Bagno Grande' di San Casciano dei Bagni. - Ha invece sottolineato il funzionario archeologo della Soprintendenza di Siena e coordinatore del comitato scientifico del progetto, Jacopo Tabolli - All'eccezionale epigrafe rinvenuta si legano anche offerte votive come ad esempio splendide orecchie in bronzo e piombo che alludono alle forze guaritrici del dio. E in fondo il piombo è sacro prima di Apollo all'etrusco Suri e dal materiale che emerge possiamo immaginare che il culto presso le sorgenti termali preceda ancora i romani e affondi nell'epoca etrusca. Una storia che l'archeologia potrà scrivere con le prossime campagne di scavo". http://www.artemagazine.it/attualita/item/11553-archeologia-siena-scoperti-i-resti-di-un-grande-santuario-dedicato-ad-apollo 174307530-948a1a95-1b6b-48cb-a556-fd22a205e5b6.webp
  2. Buonasera amici del Forum, posto il mio ultimo acquisto, sono graditi pareri sulla foto e sulla conservazione. Saluti Marfir.
  3. Vi posto questo Quattrino 1857 per Firenze sotto Leopoldo II perchè non capisco la sua grande richiesta tanto da farlo arrivare a 260 euro più diritti, nell'ultima asta Nomisma, da una partenza di soli 10 euro e in conservazione BB?! Il Gigante lo da Rara 2 la tiratura è la più bassa fra tutti gli anni ma ho visto che ci sono altri anni dichiarati più rari,in BB la quota 40 euro in SPL 100 euro e FDC 300. Forse è più difficile da trovare da come lo quota il Gigante? Grazie a tutti,F. FIRENZE Leopoldo II (1824-1859) Quattrino 1857 - ...pdf
  4. Buonasera, Vi mostro questo Luigino di Livorno datato 1660, pesa 2,27gr Legenda del D/FERDINAN.II.MAG.DV.ETR .V. R/ .1660. SOLIDEOVIRT.HONETG Corona Radiata Scudo con 3 Gigli e 2 Punti anomali tra i Gigli Sul Cammarano con queste legende non è presente, per le legenda il più simile è il numero 149 dichiarato "Unico? " ma è senza data, in esergo invece della V normale c'è capovolta e nella legenda del R la scritta HONETG finisce con la L (HONETGL) Cosa ne pensate?
  5. ARES III

    Semifonte

    Semifonte fu una città fortificata, che sul finire del XII secolo, divenne una fiera avversaria di Firenze. Oggi è solo il toponimo di una località nei pressi di Petrognano, frazione del comune di Barberino Val d'Elsa, in provincia di Firenze. Il nome deriva da latino Summus Fons (sorgente d'acqua alla sommità di una altura), divenuto in seguito Summofonte e infine Semifonte. Il castello prima, e la città poi, vennero fondati, intorno al 1177, dal conte di Prato Alberto IV degli Alberti, divenendo, in breve, uno dei centri più potenti della Valdelsa, nonché caposaldo imperiale nella zona. Questa nuova potenza fu immediatamente malvista dalla Repubblica fiorentina che vi si oppose in ogni modo e che riuscì a sconfiggerla nel breve volgere di un ventennio. Nel 1202, Semifonte, dopo un assedio iniziato nel 1198, venne sconfitta, conquistata e subito rasa al suolo dalle truppe di Firenze, che aveva voluto esemplarmente punire un avversario alle proprie mire espansionistiche. Terminata l'opera di distruzione, Firenze decretò che su quel colle non si sarebbe mai più potuto costruire nessun edificio. Tale divieto è stato, di fatto, rispettato fino ad oggi, ad esclusione della Cappella di San Michele, eretta, nel 1597, sulla cima del colle, su progetto di Santi di Tito, che ne ottenne, con fatica,l'approvazione da Ferdinando I de' Medici, allora Granduca di Toscana. Tra il 1154 e il 1174, l'imperatore Federico il Barbarossa scese in Italia cercando di sottomettere i liberi Comuni. Questi ultimi, appartenenti alla Lega Veronese di Pontida prima, Lombarda poi, infersero una sonora sconfitta all'imperatore durante la battaglia di Legnano nel 1176, giungendo infine alla pace di Costanza (1183). In questo clima di lotte tra imperatori e feudatari da una parte, liberi Comuni dall'altra, si colloca la nascita della città di Semifonte, fondata dal Conte Alberto IV degli Alberti nella seconda metà del XII secolo con l'intento di creare una cintura di castelli appartenenti ai feudatari fedeli all'impero[6] intorno alla città di Firenze, libero comune, per tentare di contenerne l'espansione. Le principali piazzeforti del partito imperiale erano: Fucecchio, San Miniato, Semifonte e Montegrossoli. A questi si affiancavano altri castelli degli Alberti (Certaldo, Castelfiorentino, Lucardo, Vico d'Elsa, Pogna[6]) e dei Conti Guidi (Poggibonsi e Monterappoli). I contrasti per l'edificazione della città (1177 - 1187) La prima fondazione Allo stato attuale non esiste nessuna testimonianza che permetta di stabilire con precisione la data di fondazione di Semifonte, quello che è possibile fare sono solo delle supposizioni. Anche da un punto di vista bibliografico l'unica testimonianza coeva agli avvenimenti è quella del giudice fiorentino Senzanome che assistette personalmente ad alcune fasi della guerra, terminata con la distruzione del centro. Il Senzanome colloca la fondazione intorno al 1177 per iniziativa del conte Alberto IV in occasione della discesa in Italia dell'imperatore Federico Barbarossa; il monarca si trattenne in Toscana fino al gennaio 1178 per poi ritornare in Italia solo nel 1184. In quell'anno era scoppiata una contesa tra gli Alberti e il comune di Firenze per il controllo di Pogna e, nella cronaca di Senzanome, è scritto che il Conte Alberto «trascursis annis postea non multis» dal 1177 «dum excellentissimus Fridericus primus, Romanurum imperator intraret Ytaliam, de ipso confidens, de ipso castro super excellentioris monte qui dicebatur Somofonti, castrum contruixit eodem nomine appellatum, eiusdem imperatoris asumpto vexillo, quod nullum Ytalia melius nec forte simile preter unum». Questa è l'unica testimonianza che parli della nascita di Semifonte; visto che la località non venne nominata nell'elenco dei beni confermati dall'imperatore ad Alberto nel 1164, anno in cui il conte era da poco diventato maggiorenne e quindi è da ritenere che la fondazione del centro deve essere avvenuta proprio tra il 1177 e il gennaio 1178. Per gli Alberti la fondazione di un nuovo centro non era una novità, visto che, all'inizio dell'XI secolo, si erano fatti promotori della fondazione di un centro destinato a ben altra fortuna: Prato. Semifonte come Prato nasceva dall'aggregazione di diverse comunità poste nell'area circostante ma, rispetto alla fondazione di Prato, quello che era cambiato era il contesto. La zona in cui nacque Semifonte, alla fine degli anni settanta del Millecento, era una delle aree più popolate della Toscana potendo contare sia su centri come Certaldo, Podium Bonizii, San Gimignano, Colle di Val d'Elsa sia dall'essere attraversata dalla via Francigena; a quel tempo la via Francigena era l'asse principale per i movimenti degli uomini e delle cose e poterne avere il controllo era fonte di sicuri e immensi guadagni. Questi guadagni erano uno dei principali obbiettivi della Firenze del tempo e quindi, per averli, era pronta a combattere. Fin dalle fasi iniziali del popolamento, Firenze intuì che il nuovo castello le avrebbe inevitabilmente tagliato qualsiasi collegamento con il sud, per la sua collocazione strategica sulla via Volterrana, e dichiarò la guerra: ai primi di marzo del 1182 fu organizzata una spedizione militare, con l'intento di scoraggiare il progetto, attraverso l'occupazione e la sottomissione di Empoli, Pontorme, Pogna e distruggendo i cantieri attivi a Semifonte. La missione militare andò a buon fine visto che gli sconfitti giurarono di «Nec in Sumofonti pro castello edificando vel in alio podio non ibimus pro castello vel fortizia construenda vel facienda aliquo ingenio» (né faremo alcunché per edificare un castello in Semifonte né andremo in altro poggio per costruire un castello o opere fortificate o per fare altri accorgimenti difensivi) e queste non sono altro che le parole degli abitanti di Pogna, registrate dai notai fiorentini in un documento datato 4 marzo 1182. Seconda spedizione punitiva fiorentina e ripresa dei lavori I lavori furono sospesi per un paio di anni. Quando la situazione si fu nuovamente calmata gli Alberti riportarono lavoratori e abitanti nella zona per ricominciare i lavori di fondazione e Firenze scatenò nuovamente la guerra alla famiglia. L'esercito fiorentino occupò nuovamente Pogna, vennero distrutte le fortezze albertiane di Marcialla e di Mangona nel Mugello, dove il conte Alberto IV venne catturato. Per ottenere la libertà dovette accettare le condizioni dei fiorentini che consistevano nello smantellamento delle fortificazioni di Certaldo, nella distruzione di Pogna, nella cessione della metà degli introiti dei dazi percepiti con i pedaggi sulla Francigena e nel nuovo smantellamento di Semifonte. Il documento di resa recita: «Nec ullo in tempore reedificabimus vel permettimus reedificationem aliquo ingenio castellum de Pogna, nec domus aut operas in Summofonte» (Né mai riedificheremo e permetteremo la riedificazione con qualsiasi accorgimento del castello di Pogni né di case o d'opere in Semifonte). Costretti a questo giuramento furono: il Conte Alberto, i suoi figli Guido e Maginardus e la moglie Tavernaria. I patti però non furono rispettati e il processo di espansione di Semifonte riprese indisturbato. Il 19 agosto 1187 il conte Alberto si presentò a Bologna come testimone al cospetto dell'imperatore Enrico VI facendosi appellare quale «comes Albertus de Summufonte». La scelta del conte è significativa: fino a quel momento gli Alberti si erano sempre presentati come Conti di Prato ma la scelta di usare il nuovo titolo di fronte all'imperatore (cioè di fronte a colui che legittimava il loro potere) va letta come la dimostrazione degli stretti legami che legavano la famiglia con il nuovo centro e il nuovo centro con il potere imperiale; il messaggio rivolto in tal modo a Firenze ed ai suoi alleati era chiaro: toccare Semifonte equivaleva a toccare direttamente gli interessi imperiali. Fra i principali alleati di Firenze, in quel momento, vi erano i conti Guidi i quali, nello stesso periodo, nella zona tra la Pesa, l'Elsa e l'Arno, insomma nel feudo degli Alberti, avevano fondato ben due centri:Podium Bonizii ed Empoli, e quest'ultima, con il dichiarato intento di sottrarre uomini agli Alberti[14]. Con la nascita di Semifonte gli Alberti, unici veri rappresentanti del potere imperiale in questa zona della Toscana, cercarono di controbilanciare il potere guidingo. Lo sviluppo della città (1187 - 1198) Mortennano e nascita del comune A Semifonte i lavori procedettero in maniera spedita e, oltre alle fortificazioni, vennero costruite le case per gli abitanti, i quali furono subito dediti alle più varie attività artigianali, nonché alla mercatura. Ma ci fu un vero e proprio colpo di scena: il 18 luglio 1189 il Conte Alberto degli Alberti cedette metà dei suoi diritti sulla città a Scorcialupo da Mortennano: questa mossa servì per rafforzare la posizione della nuova città nei confronti di Firenze, facendo entrare Semifonte nell'orbita di Siena. Scorcialupo infatti era il proprietario del Castello di Monternano, situato nei pressi di Castiglione (oggi Castellina in Chianti), nel distretto della pieve di Sant'Agnese in Chianti, appartenente alla diocesi di Siena ed inoltre apparteneva ad una potente famiglia dell'élite senese e, Siena, avversaria di Firenze, mai avrebbe permesso che la città gigliata minacciasse una proprietà di un suo concittadino. Se da una parte questa scelta rafforzò politicamente Semifonte, dall'altra questo, è il primo segnale dell'abbandono da parte degli Alberti dello scacchiere toscano, Prato compresa, per trasferire i loro interessi nell'area di Bologna, dove infatti si attesteranno dal Trecento. La cessione però, non fu vissuta come un dramma dagli abitanti. Infatti nello stesso periodo (o forse fin dal principio), all'interno del castello, si era cominciata a formare una solida leadership di cittadini che, di concerto col fondatore, avevano iniziato a autogovernarsi. La prima attestazione di un Comune di Semifonte appare in una carta della badia a Passignano del dicembre 1192 e, alla fine del secolo, risulta che il governo del comune era affidato a tre consoli e ad un consiglio di cui sono rimasti i nomi di sette consiglieri. Intanto il castello si andava sempre più sviluppando e, con la sua potenza, già minacciava i commerci di Firenze. Si narra che i cavalieri di Semifonte andassero fin sotto le mura di Firenze a gridare in segno di scherno: «Fiorenza, fatti in là che Semifon si fa città» Sempre nel 1192, le milizie di Semifonte catturarono, quasi sicuramente su ordine dell'Imperatore Enrico VI, il cardinale Ottaviano Vescovo di Ostia[18], l'uomo, in quel momento, più autorevole della Curia romana, il quale transitava sulla via Francigena di ritorno verso Roma da una missione diplomatica in Normandia. Il Cardinale fu poi rinchiuso nella fortezza di Monte Santa Maria Tiberina presso Città di Castello. Ma questo non fu che l'episodio più clamoroso: approfittando della posizione strategica della loro città, i semifontesi erano soliti depredare tutti i messi pontifici di passaggio e ciò li mise in cattiva luce con la curia romana. Ma a salvarli fu la notevole ricchezza e l'importanza strategica del castello che attirarono l'attenzione di due importanti e vicini monasteri vallombrosani: la badia a Coltibuono e, soprattutto, l'abbazia di Passignano. Ingresso di Badia a Passignano Il 15 novembre 1192 la badia di Passignano acquistò un edificio e un terreno non edificato posti nel borgo di Cascianese, uno dei borghi che costituivano il nuovo centro. Questo investimento fu fatto, ufficialmente, allo scopo di poter costruire un ospedale per i viandanti. Circa un mese dopo, venne siglato un accordo tra il pievano di Santa Gerusalem (la chiesa principale del castello) e l'abate di Passignano, accordo che ebbe un peso notevole nelle vicende future. In base a questo accordo il pievano, sul cui territorio sorgeva Semifonte, concesse due privilegi alla chiesa che il monastero si era impegnato a costruire insieme all'ospedale: il titolo di parrocchia ed il governo su quella parte della nuova città che andava dalla porta di Tezanello alla opposta porta di Bagnolo . Non solo, il pievano si impegnò a non sollevare obiezioni nel caso in cui la chiesa patrocinata da Passignano avesse ottenuto dal Papa il diritto alla fonte battesimale, concessione apparentemente inspiegabile visto che la fonte battesimale era un'importante prerogativa della chiesa di Santa Gerusalem. L'elevazione di una semplice chiesa parrocchiale a pieve era un evento molto insolito in ambito fiorentino, ma il pievano di Santa Gerusalem non parve preoccupato dall'eventuale diminuzione di importanza della sua chiesa, forse perché sapeva che Passignano godeva dell'appoggio dalla Santa Sede. La contropartita che Passignano dovette concedere fu modesta: doveva riconoscere la superiorità della pieve sulla parrocchia e festeggiare le festività della Santa Croce e di San Niccolò che si tenevano nella stessa pieve; dati i rapporti di forza, totalmente a favore di Passignano, per il monastero l'affare fu notevole. Il ruolo di Coltibuono invece è meno chiaro, anche se ottenne di farsi rappresentare nel consiglio comunale della città da un uomo che faceva stabilmente parte della classe dirigente cittadina: Biliotto di Albertesco, un commerciante con bottega sul mercato locale. In un anno non definito, Biliotto e la badia a Coltibuono procedettero alla vendita di un bene non specificato a un membro della famiglia Ricasoli di Vertine, e con tale evento si tentò di inserire la famiglia Ricasoli nella nobiltà Semifontese. Non se ne fece di nulla perché, nel 1202, avvenne la capitolazione e il contratto venne annullato. Ma non furono solo interessi economici a far muovere Passignano. Come abbiamo visto, il potere degli Alberti era ormai in netto calo e l'abate di Passignano, spalleggiato in questo da Coltibuono, mirava sicuramente prima ad affiancare e poi magari a sostituirsi quale feudatario, e, a questo progetto, non erano estranei i consoli del comune di Semifonte; il consiglio si impegnò a non esercitare alcun diritto fiscale sia sulla chiesa che sull'ospedale che il monastero voleva costruire e, inoltre, questa immunità venne estesa a tutte le case che il monastero avesse costruito o acquistato dentro le mura e su tutto il territorio semifontese. In cambio di queste concessioni, l'abate offrì al comune tutto l'appoggio che il monastero poteva dare. Da questi accordi si evince che la sostituzione degli Alberti con Passignano era possibile, anche se ciò comportava una modifica degli equilibri interni; Passignano ottenne inoltre che nel consiglio del comune sedesse stabilmente un suo rappresentante, nella persona del procuratore Pierus quondam Cascianelli ed il comune, in cambio, ottenne l'appoggio di una potente comunità monastica, fortemente legata con la Santa Sede. L'inizio della fine Nell'autunno 1196, approfittando della partenza dell'esercito imperiale alla volta della Sicilia, i fiorentini per la prima volta attaccarono il borgo esterno alle mura della città. Subirono danneggiamenti anche una o più chiese di proprietà della Badia a Passignano. La reazione dei monaci fu immediata: su intercessione dell'abate, papa Celestino III lanciò l'interdetto su Firenze, a causa dei danni che quest'ultima aveva causato ai beni che il monastero possedeva a Semifonte. A perorare la causa di Passignano e Semifonte venne inviato a Roma Boncompagno da Signa, uno degli uomini di legge più celebri del tempo. Ma un avvenimento mutò irreparabilmente lo scenario nel 1197: l'imperatore Enrico VI morì e lasciò come erede Federico II di soli tre anni. La Lega di Tuscia Il partito imperiale entrò immediatamente in crisi e tutti i conflitti ripresero. Tra i primi a muoversi furono i comuni di San Gimignano e Volterra, che si allearono contro il vescovo di Volterra ed il locale rappresentante imperiale Bertoldo. In quello scontro il potere vescovile ne uscì ridimensionato ed inoltre subì la perdita del castello della Pietra, concesso dallo stesso Enrico al vescovo ma ora sottomesso al comune. In prima fila tra gli anti-imperiali c'era Firenze, che insieme ad altre città toscane, stipulò la Lega di Tuscia (1197-1198). La sede delle trattative fu a San Genesio, da sempre sede delle diete imperiali per la Toscana, e, oltre a Firenze, furono coinvolte Lucca, Siena, i Conti Aldobrandeschi, i Conti Guidi, altri Grandi di Toscana, San Miniato e il vescovo di Volterra e, poco dopo, venne estesa anche ad Arezzo ed a Prato. L'importanza della Lega di Tuscia fu enorme: per la prima volta le città toscane si spartirono il territorio della regione senza tener conto delle antiche divisioni amministrative, inoltre, venne, di fatto, stabilito un rapporto paritario tra le autorità comunali ed i signori feudali e, infine, i partecipanti si giurano reciproca difesa, impegnandosi a non riconoscere Imperatore o Re senza ordine della chiesa. L'obiettivo principale era la resistenza contro una restaurazione della signoria tedesca. Ogni membro avrebbe dovuto ottenere la sovranità nel proprio territorio, senza violare i diritti degli altri. Il vescovo di Volterra venne posto a capo della lega. Tra i convocati c'erano anche le maggiori famiglie feudali toscane che, avendo ormai perso la protezione imperiale, si videro costrette, non solo ad accettare di partecipare all'assemblea, ma anche ad accettarne le decisioni. Tra i partecipanti c'erano i Guidi, i Gherardini, gli Aldobrandeschi e gli Alberti. Nell'accordo finale i diritti di queste famiglie vennero riconosciuti, a patto però che fossero di concessione regia ma, di fatto, da quel momento in poi persero, o dovettero profondamente ridimensionare, il controllo che avevano sul territorio. Per quanto riguarda gli Alberti, Firenze pretese, non a caso, un accordo diverso. Dalla Lega di Tuscia dovevano rimanere fuori le fortezze albertiane di Certaldo, Mangona e Semifonte, in pratica i gioielli del dominio albertesco, in cambio Firenze garantì la restituzione agli Alberti per usi agricoli dell'area di Semifonte, ovviamente dopo che ne fossero state smantellate le fortificazioni. Nel 1198 era stato eletto al soglio pontificio papa Innocenzo III, fautore di una decisa politica antimperiale, e Semifonte si trovò di fatto isolata da tutto e da tutti. L'assedio e la distruzione (1198 - 1202) I fiorentini cominciarono la riconquista del contado sottomettendo prima il castello di Montegrossoli, e poi, l'11 maggio 1198, Certaldo. Firenze decise di cominciare la guerra contro l'odiata Semifonte proprio nel 1198. La prima mossa fu il rafforzamento del vicino castello di Barberino, che avrebbe fatto da quartiere generale, poi ci fu la conquista di Vico d'Elsa ed a quel punto l'accerchiamento di Semifonte era completo. Gli alleati di Semifonte La probabile futura caduta di Semifonte fece preoccupare i vari centri della Valdelsa, che temevano il dilagare della potenza fiorentina nella zona. Perciò provvedettero, innanzitutto, a sopire le varie vertenze locali. Colle di Val d'Elsa inizialmente si era schierata con il partito imperiale ma, dopo diversi scontri per il possesso del castello di Casaglia, il 24 novembre 1199, stipulò un patto di alleanza e difesa reciproca con San Gimignano (alleata di Semifonte), per contrastare Poggibonsi, cittadina amministrata in condominio da Firenze e Siena; tale accordo venne stipulato proprio nel castello di Semifonte, grazie alla mediazione del console Mainesctus. Altri accordi furono stipulati tra i signori feudali dei comuni minori della Valdelsa e della Valdera quali Montevoltraio, Montignoso, Monteglabro, Castelvecchio e i signori del castello della Pietra; tutti questi centri si dichiararono alleati di Semifonte. Alla luce di quello che successe dopo, la loro alleanza con Semifonte fu solo teorica. La città fu assediata, certamente in maniera non continuativa, anche per le ingenti spese che ciò avrebbe comportato. Il tradimento del conte Alberto La situazione precipitò il 12 febbraio 1200, quando, il conte Alberto IV, per salvare il resto dei suoi domini feudali, si accordò con il comune di Firenze vendendogli per 400 libbre o 400 lire di moneta pisana la sua metà dei diritti sul castello; inoltre, si impegnò ad aiutarli nell'assedio e cedette, definitivamente, il castello di Certaldo (che nonostante tutto aveva continuato ad aiutare Semifonte), in più vennero ripetute le clausole dell'accordo del 1184, ovvero l'esenzione su qualsiasi pedaggio per i mercanti e i cittadini fiorentini in transito sulla Francigena. Il Conte Alberto che tanto si era adoperato per l'edificazione della sua città, ora l'aveva tradita. Fiutando il vento, anche Scorcialupo da Mortennano cedette a Tabernaria, moglie del conte Alberto, la sua metà del castello di Semifonte e lei girò immediatamente il tutto al comune di Firenze, che, a questo punto, era, da un punto di vista legale, la padrona assoluta del castello. Dopo la resa del conte, anche il vescovo di Volterra, Ildebrando Pannocchieschi, si schierò apertamente con i fiorentini inviando, contro Semifonte e contro Colle Val d'Elsa, 200 cavalieri e 1.000 fanti. Lo fece perché sperava in un loro aiuto contro San Gimignano, ma tale decisione, la prese sfidando una parte dei suoi fedeli e lo stesso comune volterrano schierato invece a fianco di San Gimignano e Semifonte. La pace di Fonterutoli Nel 1201, quarto anno di guerra, Firenze ancora non era riuscita a fiaccare la resistenza dei semifontesi; evidentemente la volontà dei difensori unita agli aiuti dei centri minori stava funzionando ma Firenze stava per calare il jolly. Il 29 marzo 1201, nella canonica di San Miniato a Fonterutoli, si incontrarono Paganello da Porcària, podestà di Firenze, e Filippo Malavolti, podestà di Siena, con i loro rispettivi funzionari. Fra le due parti venne firmato un accordo in base al quale i decennali contrasti tra le due città avrebbero visto la fine. L'accordo prevedeva che Firenze concedesse il libero transito ai mercanti Senesi nel suo territorio e in cambio, Siena si impegnò a fare altrettanto. Apparentemente sembra un accordo commerciale, ma, in realtà, è politico e militare; il podestà di Firenze fece infatti scrivere che se un abitante di Montalcino fosse stato trovato in territorio fiorentino, venisse catturato e, entro 15 giorni, consegnato alle autorità senesi ed inoltre, e qui è il passo fondamentale, se Siena avesse chiesto aiuto militare a Firenze per la conquista di Montalcino, la città del giglio, le avrebbe messo a disposizione 100 cavalieri e 1000 tra fanti e arcieri, mantenuti a spese della stessa Firenze per almeno un mese. Da parte sua Siena si impegnò a considerare Semifonte come sua nemica e se un semifontese fosse stato trovato nel suo territorio lo avrebbe consegnato a Firenze, e, inoltre, avrebbe fornito, per la guerra di Semifonte, un contingente armato anch'esso di 100 cavalieri e 1000 fanti[29]. Ma l'accordo prevedeva anche altro: Siena si impegnò a impedire che Colle di Val d'Elsa fornisse qualsivoglia aiuto a Semifonte e, da parte senese, non sarebbe stato inviato nessun aiuto a San Gimignano se quest'ultimo avesse continuato a schierarsi dalla parte di Semifonte. In definitiva, l'accordo stipulato a Fonterutoli stabilì, senza dubbi, quali erano le zone di influenza delle due città. Nonostante Firenze fosse, dal punto di vista legale, la padrona del castello decise di scendere a patti con Siena. L'accordo era fondamentale perché Siena era diventata una vera e propria spina nel fianco verso i progetti di espansione fiorentina in Val d'Elsa e nel Chianti. Tra le due città esisteva un vecchio accordo che era stato firmato l'11 dicembre 1176 nella pieve di San Marcellino. L'accordo mise momentaneamente fine al conflitto scoppiato l'anno precedente, tra le due parti, per questioni di confini nel Chianti e per il controllo di Montepulciano. In quel patto si stabilì che il confine nella zona del Chianti sarebbe iniziato dal punto in cui il torrente Bornia si getta nell'Arbia e, di conseguenza, i castelli di Brolio, Campi, Lucignano, Monteluco, Lecchi e Tornano passarono sotto il controllo di Firenze. L'accordo stava stretto a Siena che infatti lo rispettò solo per modo di dire; subito dopo la firma entrambe ricominciarono a guerreggiare. Insomma l'accordo di Fonterutoli servì a tenere buona Siena per il tempo necessario a prendere Semifonte, poi tutto sarebbe ricominciato come sempre. L'accordo di Fonterutoli determinò dunque, il cambiamento di campo di Colle Val d'Elsa, ma non fu la sola. Ormai i maggiori alleati, come la badia a Passignano, stavano abbandonando Semifonte mentre Firenze ricevette rinforzi anche da Lucca, Prato e dai Guidi. L'unico alleato rimasto fedele era San Gimignano, da cui continuarono ad arrivare rinforzi. Ma furono gli ultimi; nel timore di ritorsioni ed in cambio di una immunità concessa dai fiorentini, i sangimignanesi garantirono che, in caso di caduta di Semifonte, si sarebbero semplicemente limitati ad accettare la cosa. Epilogo Nei primi mesi del 1202 Firenze strinse l'assedio. Per l'ultima disperata resistenza, i Semifontesi affidarono la Rocca di Capo Bagnolo (la fortezza principale della loro città) a un certo Dainello di Ianicone dal Bagnano (località poco distante). Firenze, invece, affidò il comando al Console Clarito Pigli (o Pili o Pilli), il quale fece pervenire truppe fresche, nonché i temibili mangani, macchine da guerra per scagliare pietre durante gli assedi e il fuoco greco, che i fiorentini usarono sul campo per la prima volta. Secondo il Salvini, difensori di Semifonte erano poco più di 5000, contando anche i rifugiati dei dintorni, mentre gli attaccanti ammontavano a circa 10000 uomini. Il commando suicida L'assalto finale fu lanciato probabilmente all'alba del 23 marzo 1202. Secondo la leggenda, la caduta avvenne per tradimento. Tutti i vari storici del passato individuarono il traditore in tale Ricevuto di Giovannetto, uno dei soldati che il comune di San Donato in Poggio aveva mandato in soccorso di Semifonte. Ricevuto sarebbe stato al soldo dei fiorentini e, in cambio di una esenzione perpetua dal pagamento delle tasse, avrebbe, ad un determinato segnale, dovuto aprire la porta Romana, a lui affidata. Scoperto il tranello, Ricevuto sarebbe stato ucciso dai semifontesi. In realtà ad accelerare la caduta fu un colpo di mano di un vero e proprio commando guidato da un certo Gonella insieme ad altri fuoriusciti semifontesi, tra cui lo stesso Ricevuto, che però rimase solo ferito, ed ai cui discendenti la Repubblica fiorentina concesse l'esenzione in perpetuo delle tasse. Questi semifontesi appartenevano sicuramente a un gruppo di cittadini molto legato al conte Alberto e, grazie alla perfetta conoscenza delle strutture del castello, riuscirono nell'impresa. Secondo il Salvini, che riprende la storia di Pace da Certaldo, le cose andarono così: sfruttando il buio della notte l'esercito fiorentino si era avvicinato alla porta Romana, che intanto era stata aperta dal commando, e una volta dentro il gruppo si divise in due, una parte tentò di scalare le mura della Rocca di Capo Bagnolo (il punto chiave di tutta la fortificazione) mentre l'altro gruppo tentò di conquistare la rocca stessa. Il piano fallì e furono quasi tutti uccisi. Assalto finale Intanto il governo di Firenze cominciava a stancarsi di questo lungo assedio e pretese la conquista, oltretutto aveva già ordinato, allo stesso Clarito de'Pigli, di cominciare un altro analogo assedio al castello di Combiate in Val Marina. Clarito decise così di sferrare l'attacco finale sfruttando i nuovi rinforzi che gli erano giunti da Firenze e da Certaldo. Prima dell'assalto inviò nel castello quale ambasciatore. Aldobrandino Cavalcanti, con l'autorizzazione ad accettare qualsiasi richiesta ragionevole. Il consiglio del castello chiese due ore di tempo per decidere. Clarito accettò, ma intanto dispose le truppe. All'interno intanto la discussione fremeva: alcuni fecero presente che la città ormai era allo stremo e che le difese ormai erano ridotte talmente male che i fiorentini non avrebbero avuto difficoltà ad aprirvi un varco, ma altri proposero di resistere ad oltranza confidando nel fatto che nei dintorni la rivolta contro Firenze era in corso e che l'esercito fiorentino avrebbe smobilitato l'assedio per spegnere queste rivolte. Mentre i Semifontesi discutevano erano ormai trascorse le due ore concesse da Clarito, il quale, da parte sua, aveva ormai dispiegato tutte le truppe per l'assalto finale e dette il via alle operazioni. Quando i semifontesi si accorsero dell'inizio dell'attacco ormai era tardi e, nonostante un'ultima valorosa difesa, tutto si rivelò inutile. Stremati da mesi di assedio non avevano più la forza di combattere e fu allora che una delegazione composta dagli anziani e dal clero si recò da Clarito per invocare pietà. Clarito accolse la richiesta, proibì alle sue truppe ogni atto di violenza sulla popolazione e chiese dodici ostaggi più il loro capo messer Scoto. Dopo una breve trattativa si accontentò di prendere in ostaggio solo due consoli ed entrò in città, per poi schierare le sue truppe sulla piazza del castello. Tutto questo accadeva il 31 marzo: i Fiorentini erano riusciti a prendere la città, ma non la Rocca difesa dal valoroso Dainello, il quale cessò le ostilità solamente per l'ordine ricevuto da Messer Scoto, detto poi, da Semifonte, ultimo Podestà della città. L'atto di resa incondizionata Il 3 aprile 1202, a Vico d'Elsa, venne redatto il trattato di pace tra Clarito Pigli e Albertus de Monteautolo, podestà di San Gimignano, difensore degli interessi semifontesi. Le condizioni di resa furono durissime: i Semifontesi, che furono costretti ad accettare senza neanche poter leggere il trattato[44], si dovettero impegnare ad abbandonare e ad abbattere tutte le fortificazioni della loro città entro il mese di giugno del 1202. Successivamente iniziò la demolizione delle torri, delle case, perfino delle chiese. La leggenda dice che i materiali furono reimpiegati dai Fiorentini nella costruzione della cinta muraria di Barberino Val d'Elsa. Della città che aveva osato sfidare Firenze non doveva rimanere traccia. Va detto che, in segno di pacificazione, i fiorentini stanziarono 4000 lire a fondo perduto per consentire ai semifontesi di reinsediarsi in una area nel piano sottostante dove, però, non avrebbero potuto costruire nessuna fortificazione; l'area indicata però era inospitale e i semifontesi si dispersero andando in molti a San Gimignano, altri verso i vicini centri valdelsani, altri a Firenze e alcuni persino in Sicilia e in Palestina. Per racimolare le 4000 lire si istituì una nuova tassa, la libra , che fu imposta non solo ai laici ma anche alle chiese e ai monasteri del circondario, e per pagarla, la badia a Passignano, tassata per 24 lire, dovette far ricorso ad un prestito da un usuraio. Fu disposto che in quel luogo mai si sarebbe potuto riedificare alcuna cosa. https://it.m.wikipedia.org/wiki/Semifonte
  6. Il trattato di Firenze del 1557 e la successiva pace di Cateau-Cambrésis del 1559, che ponevano termine alla lunga guerra fra gli Asburgo e i Valois, videro, nella stesura dei nuovi confini degli Stati, la costituzione, su ex possedimenti della Repubblica di Siena, dello Stato dei Presìdi, una piccola entità territoriale comprendente Orbetello, Porto Ercole, Porto S. Stefano, Talamone e, dal 1603, Porto Longone (l’odierno Porto Azzurro dell’Isola d’Elba), che il re Filippo II di Spagna volle riservarsi per il controllo navale della costa tirrenica e per garantire approdi sicuri alle sue navi. Dominio diretto della corona spagnola, il piccolo Stato fu affidato per l’amministrazione al viceré di Napoli. Al periodo della dominazione spagnola si deve un forte sviluppo delle strutture e delle fortificazioni militari nel territorio sopravvissute fino ai nostri giorni. La dominazione spagnola fu interrotta nel trentennio 1707-1737, anni delle guerre di successione austriaca e polacca, che videro la momentanea sovranità austriaca. Quando Carlo di Borbone si impadronì del Regno di Napoli, anche i Presìdi passarono sotto la corona borbonica (1738), seguendone le sorti fino al 1801, anno dell’invasione napoleonica dell’Etruria. Il trattato di Versailles del 1815 sancì l’annessione dell’ex Stato dei Presìdi al Granducato di Toscana dei Lorena. Sotto Ferdinando IV di Borbone fu battuta l’unica monetazione destinata al piccolo dominio toscano. Essendo un territorio di limitate dimensioni, crocevia di commerci e di genti, al confine fra il Granducato e lo Stato Pontificio, vi circolavano monete di varie zecche e di diverse unità di misura, creando gran confusione e difficoltà nei ragguagli. Le monete napoletana e romana la facevano da padrone, la prima per ragioni politiche e finanziarie, in quanto moneta “ufficiale”, la seconda per gli scambi e i rapporti commerciali con gli abitanti delle viciniori province laziali di Roma e di Viterbo. La documentata circolazione di valuta genovese, spagnola, napoletana, toscana, pontificia è indice di un’intensa attività commerciale e produttiva in Orbetello e dintorni. Ma se il ducato romano e napoletano costituivano le monete di riferimento per il commercio all’ingrosso e gli affari finanziari, tra il popolino si faceva di conto con la lira toscana e i suoi derivati. I pezzi più piccoli (aliquote di soldi e denari) erano molto usati nella vendita al minuto di merci dell’uso quotidiano. Se ne deduce che questo settore fosse predominio dei mercanti toscani, con un fitto interscambio con i Presìdi fatto di esportazione di prodotti agricoli, legna, carbone, pesce fresco e salato. Per questi motivi a Napoli si ritenne opportuno battere i pezzi in rame per i Reali Presìdi secondo il sistema monetario toscano e non quello napoletano. Ferdinando IV di Borbone, in tre diverse emissioni (1782, 1791 e 1798) fece coniare questo quattrino del medesimo valore dell’ordinario in corso nel Regno, pari alla 400esima parte di un ducato. Nei tagli di quattro, due e un quattrino, i pesi erano dunque rispettivamente identici alle monete da un grano, da un tornese e da tre cavalli circolanti nel Regno di Napoli. La serie dei quattrini coniata per i Reali Presidi vede come costante al diritto dei tre nominali il profilo di Ferdinando IV di Borbone volto a destra, lungo il bordo l’iscrizione Ferdinando IV per grazia di Dio Re delle Due Sicilie e in basso la sigla P (1 e 2 quattrini) o B P (4 quattrini) quale firma dell’incisore Bernardo Perger per la serie del 1782, mentre la P o D P delle emissioni del 1791 e 1798 sono riferite ovviamente al figlio Domenico, essendo Bernardo morto nel 1786. Il rovescio presenta in alto la corona reale sovrastante la scritta REALI PRESIDII, il nominale QVATTRINI, il valore espresso in numeri romani inserito tra le cifre arabe dell’anno di emissione. Solo nei pezzi da 4 quattrini le iscrizioni del rovescio sono circondate da due rami di lauro legati in basso da un fiocco. Ai lati della corona compaiono le iniziali dei direttori della zecca: C. C. per il Cesare Coppola (emissioni del 1782) in carica fino al 1790; A. P. sono le iniziali di Antonio Planelli (emissioni del 1791) mentre la sigla R. C., impressa sui nominali del 1798, designa la Regia Corte, ovvero la monetazione battuta a benefizio della Corte ed in particolare della regina Maria Carolina. Particolari rarità di questa monetazione sono due esemplari di 4 quattrini 1782, l’uno ribattuto su una prova in rame del 6 ducati di Carlo III, attestato dal CNI, e l’altro ribattuto su un grano del 1719 di Carlo VI d’Asburgo, inedito e, infine, un esemplare di 4 quattrini 1798 ribattuto su un grano da 12 cavalli di Ferdinando IV (mai apparso).
  7. Buon Giorno Leggendo “Cronaca del Trecento Italiano” di Carlo Ciucciovino, con riferimento al primo Volume per l’anno 1306, in uno dei paragrafi ho trovato il seguente brano che cito integramente: (il Papa, Clemente V, si era trasferito con la Curia in Francia a Poitiers l’anno precedente ponendosi sotto la protezione di Filippo il bello) § 17. Il tesoro pontificio Il Pontefice ordina che il tesoro papale, custodito a Perugia, venga trasportato a Bordeaux, e ne dà incarico ai fratelli Franzesi. Davidsohn sottolinea, stupito, che è singolare che persone coinvolte contro l’aggressione a Bonifacio VIII, siano state investite di tale responsabilità, tanto più che essi non fanno recapitare tutto il tesoro in Francia, ma ne trattengono una parte, si ignora a qual titolo. «Gli oggetti preziosi furono dagli incaricati [dei Franzesi] venduti in parte a Firenze, e la maggior parte del vasellame d’oro, ridotta in pezzi, prese la via della Zecca di Firenze, dove il metallo fu coniato in fiorini d’oro». La curia intraprende un’azione legale contro i fratelli, accusandoli di appropriazione indebita. Ci vorranno 11 anni perché la Chiesa riottenga, e solo in parte, il maltolto.57 Il testo (in tre volumi oltre alle introduzioni) è disponibile integralmente in rete in formato pdf, basta una semplice ricerca, è estremamente interessante consente di farsi un quadro generale della complessa situazione dei rapporti tra i vari centri di potere nei primi tre quarti del XIV secolo. Tornando al riferimento relativo al Tesoro Pontificio, sorvolando su motivi e ragioni, su possibili influenze del re di Francia sulla decisione, ho posto la mia attenzione sulla alienazione da parte degli incaricati del trasferimento, di parte del tesoro, (in pratica furto e ricettazione da parte di qualcuno in Firenze) Non sono riuscito a capire di quanto oro si trattasse, presumo comunque un quantitativo rilevante. Quantificando la somma in Fiorini, considerando che 1000 Fiorini sono 3.53 kg d’oro con titolo prossimo a 24 carati, che nell’anno 1306 con riferimento al primo semestre il Bernocchi descrive 5 varianti segno di zecca scala, in effetti ne esistono almeno altre due che ho potuto vedere; per il secondo semestre dello stesso anno sono descritte 3 varianti segno pera, e anche nei semestri degli anni successivi sono presenti un numero significativo di varianti. Considerando che per il segno scala sono presenti piu coni (almeno 4 per una delle varianti) da quanto ho potuto verificare.. Riporto una tabella riassuntiva dei segni e delle varianti descritte dal Bernocchi, considerando che venivano realizzati almeno una coppia di ferri per ciascuna variante, a volte anche 4 o 5, che con un conio di rovescio potevano essere coniati anche 15-20.000 Fiorini, con ogni probabilità son coniati in questi anni quantità considerevoli di Fiorini. (100.000 Fiorini sono 350 kg abbondanti di Oro affinato) class Bernocchi num varianti inizio fine 1306 sem1 scala 961 965 5 1306 sem2 pera 966 968 3 1307 sem1 guastada 970 974 5 1307 sem2 pettine 983 986 4 1308 sem1 foglia di fico 995 999 5 1308 sem2 chiodi decussati 1006 1011 6 1309 sem1 scudo semiovale crociato con globetto 1017 1019 3 1309 sem2 pannocchie di grano su gambo nessuno 1310 sem1 giglio piccolo 1037 1038 2 1310 sem2 monte 1050 1051 2 Altra curiosità/dubbio è riferita al processo di affinamento dell’oro descritto nella pratica Pegolotti, che dimensioni potevano avere i singoli lotti di metallo, qualche chilogrammo oppure decine di chilogrammi o più? I Fiorini di questi anni sono meno rari di altri, tranne qualche semestre meno diffuso, sono presenti molteplici varianti con coni diversi per ciascuna, sicuramente molto oro è stato monetato a partire da quello del Tesoro Papale. Chiedo a tutti coloro che vorranno intervenire di esprimere le loro ipotesi e di fornire eventuali precisazioni e notizie Cordialità
  8. bastet13

    Devozionale da identificare

    Salve ..... Spero di non aver sbagliato dove inserire questa discussione... Ho questa devo ..che se non erro é relativa alla Maria di Caravaggio ....ma non ne trovo nessun riscontro da nessuna parte. Mi potete aiutare ..Grazie
  9. mauro6161

    Medaglia guerre unità d'Italia

    Ciao a tutti, la mia famiglia ha conservato questa medaglia, con attestato del diritto di titolo, del 1866. E' riferita alla partecipazione alle guerre del 1859 per l'indipendenza e unità d'Italia. La medaglia ha un diametro di circa 30mm e non mi sembra in argento e presenta una patina importante che la rende molto scura. Con nastro tricolore molto ben conservato Allego due foto. Qualcuno sa dirmi di che materiale è fatta? Forse rame? Qualcuno di voi ne ha una simile? Grazie in anticipo Mauro
  10. Buongiorno a tutti, ero convinto che il simbolo di questo fiorino fosse il "sole" (1318 - II semestre; Catellino Aldobrando, MIR 7/15, BERN. II id. 1223/1226, CNI XII n.135) ma così non è in quanto mi sono accorto che il simbolo del Sole è differente... Sapreste dirmi cortesemente di che simbolo si tratta e a quando datarlo? Grazie! Luca @teofrasto @monbalda
  11. Buongiorno a tutti gli utenti del forum, Chiedo innanzitutto venia per il disturbo, ma ho trovato questa banconota durante le pulizie, che in questo periodo, ahimè, abbondano Non sono assolutamente un esperto in questo campo quindi mi rivolgo a voi. Può valere qualcosa questa banconota? Allego le foto della banconota in questione : Ringrazio anticipatamente tutti coloro che visualizzeranno il post. Buon proseguimento a tutti
  12. Passata in Bertolami Fine Art – Asta 79 – 02/05/2020 – Lotto 534 con errata attribuzione si tratta della rarissima versione della Lira con il Duca che indossa la “gorgiera spagnola” invece delle diverse varianti di colletti, più o meno ampi. Da notare che nella stessa asta, lotto. 533, veniva erroneamente presentata come “gorgiera spagnola”, una normale lira senza data, con colletto molto ampio: Alcuni collezionisti hanno capito l’errore in quanto il lotto 534 pur partendo da 25€ ha raccolto una ventina di offerte, mentre l’altro è rimasto invenduto. La “gorgiera spagnola”, che si vede chiaramente sulla moneta, è un ampio colletto a forma di corolla fittamente pieghettato ed increspato, di moda in Europa tra il XVI e il XVII sec e molto diffuso in Spagna e nei Paesi Bassi, si veda il dipinto seicentesco sotto: Anche nelle monete di Ferdinando II è frequente trovare il Duca con questo accessorio, come nella bella piastra sotto: La lira di Ferdinando II con “gorgiera spagnola”, è considerata di estrema rarità, R5, dai cataloghi, logicamente è sempre difficile disquisire sulla rarità di questo tipo di monete, resta il fatto che, ritengo sia l’unica apparsa in asta non voglio dire da sempre, ma almeno da tempo immemore e questo, aldilà della scarsa conservazione ne fa un pezzo assai importante. Peraltro e con altra errata attribuzione era già comparsa in asta Bertolami del 2018, ma all’epoca era passata inosservata, anche a cifra inferiore a quanto raggiunto stavolta.
  13. Buonasera lamonetiani, vi posto questo Quattrino per la Repubblica di Lucca 1543/1599 in rame con data 15/6L4 almeno dovrebbe essere perchè leggendo il MIR le lettere in legenda mi sembra non coincidano ma le figure e il tipo si. D/ OTTO-IMPERATOR nel campo 6 L 4 (1564) e al R/ .S.VVLITVS.DE.LVCA. Invece nel mio credo di leggere altre lettere sopratutto al D/ OVEL...PR e nel R/ ALVS..... Cosa dite? Grazie a tutti F.
  14. Vi segnalo questo piccolo articolo in francese sul fiorino di Firenze. https://www.monnaie-magazine.com/monnaies-royalesle-florin-de-florence/
  15. Salve, prima volta su questo gruppo di discussione pertinente la numismatica. Cerco informazioni riguardo i guadagni, costi della vita e prezzi nel 1200 e 1300, in Italia e nel Centro ed Est Europa, per necessità di ricerca storica. Inoltre, cerco informazioni sul cambio, e "sottomultipli" del denaro, solido e libbra/lira, nonchè del fiorino, genovino e ducato. Vi ringrazio in anticipo per qualsiasi informazione e fonte riportata. -S.
  16. Ciao, non seguo in modo particolare la numismatica medioevale, ma sono affascinato, in particolar modo, da alcune dinamiche monetarie del periodo. Premetto di non avere molto materiale a disposizione e credo che la risposta alla mia curiosità possa essere facilmente reperita in questi libri di Carlo M. Cipolla: Il fiorino e il quattrino. La politica monetaria a Firenze nel Trecento; Il governo della moneta a Firenze e a Milano nei secoli XIV-XVI, che cercherò di procurarmi quanto prima. So anche che @magdi ha scritto un bell'articolo a riguardo, che ho avuto modo di leggere, e che mi ha invogliato ad iniziare la discussione. Detto questo, so che il XIV secolo per Firenze è stato un secolo piuttosto complicato, tra crisi del debito, crisi bancaria, crisi monetaria, alluvioni, carestia e peste. Vorrei però soffermarmi sulla crisi monetaria. In estrema sintesi, mi pare di capire che la goccia che fece traboccare il vaso sia stato il repentino apprezzamento del valore dell'argento rispetto all'oro. Questo fece sì che le monete in argento in circolazione presentavano ora un valore intrinseco maggior del valore nominale, determinando una loro tesaurizzazione e successiva fusione per venderne il metallo prezioso all'estero, dove c'era maggior convenienza per via di un rapporto più stabile rispetto all'oro. Questo ha sostanzialmente determinato una grave carenza di circolante. La soluzione adottata dal governo fiorentino credo sia stata quella di creare una nuova moneta in argento (un nuovo Grosso), dal valore nominale maggiore e con un intrinseco sì più elevato, ma in misura minore, in proporzione, rispetto all'incremento del valore nominale. Si era così disincentivata la pratica della tesaurizzazione (valore nominale > valore intrinseco) e il circolante è tornato ad aumentare. In questo modo, inoltre, si sarebbe mantenuto elevato il differenziale di valore della moneta in oro rispetto a quello della moneta in argento che, a seguito della rivalutazione, si era ridotto, andando a beneficio di quella classe che guadagnava in oro e pagava in argento. Una svalutazione mi sembra ci sia stata anche sul quattrino, nel quale è stata semplicemente ridotta la quantità di argento, senza modificarne il peso. Le domande che vorrei porre sono le seguenti: quali sono state le conseguenze per la popolazione di una tale mancanza di circolante? in che modo la soluzione individuata dal governo di Firenze (la creazione del nuovo grosso e la svalutazione del quattrino) ha comunque avuto effetti negativi sulla popolazione (se ne ha avuti)? Potrebbe essere corretto dire che, di fatto, l'obiettivo finale era quello di mantenere il più elevato possibile il differenziale di valore tra la moneta in oro e quella in argento (grosso) e mistura (quattrino)? Spero di essere stato chiaro e di non aver detto troppe inesattezze. Grazie!
  17. Vi posto questo 10 Quattrini 1858 da 2 Crazie in mistura 263%ag ma che per lucentezza e colore sembra di un argento 900/800. Una monetina facile da trovare in BB o poco più, un pò meno in altissime conservazione. In mano sotto quella leggera patina (al D/ nel R/ è leggermente più pesante) risalta la brillantezza originale. Una emissione particolare verso la fine,già nell'aria,del regno come per far vedere al popolo che teneva anche a loro coniando il suo volto anche su moduli più popolari, come i Quattrini. Grazie Fav
  18. Guardando stasera la bellissima trasmissione di Angela jr, "Stanotte a Firenze", segnalo che c'è stato un passaggio molto interessante nella cripta di San Lorenzo con immagini della sepoltura dell'ultimo regnante dei Medici. Alla ricognizione sono stati rinvenuti ai lati del capo due medaglioni aurei (credo unici) che però sono stati mostrati velocemente. A occhio sembrano dei capolavori di arte incisoria settecentesca. Qualcuno di voi ne ha notizia o immagini? Il video credo si potrà rivedere su raiplay, in ogni caso vi segnalo.
  19. Buonasera, sulla scia di altre discussioni di moneta piccola di zecche Toscane, mi piacerebbe creare in questo post un bell'archivio di piccioli della Repubblica di Firenze. Partirei io con quello più vecchio in mio possesso acquistato di recente in un asta. Fiorino piccolo nuovo da 1 denaro 1260/1279 - MIR 77 D/ + FLORENTIA R/ + S ‘ IOHANNE · B · Ø 16,17 mm g. 0,63 Saluti Marfir
  20. Liutprand

    Mezze Piastre

    Per gli amatori delle zecche toscane credo sia interessante https://www.cronacanumismatica.com/sulle-rarissime-mezze-piastre-fiorentine-per-il-padre-del-battista/
  21. nerisimone

    Bilancia monetale

    Salve, ho trovato in casa questa bilancia con pesi monetali dell'epoca con cofanetto. Volevo saperne qualcosa di più dato che io sono completamente ignorante in materia... Grazie..
  22. decu

    Arezzo 225 Fanteria

    Ciao! Domanda: trovo ogni tanto quella di Johnson, con modellista Leonardo Bistolfi (credo) ma ancora non sono incappato in questa. Qualora qualcuno fosse interessato a vendere, eccomi.
  23. Buonasera, vi posto questo Quattrino di Firenze Pietro Leopoldo di Lorena 1771/1790 con il dritto incuso al retro, per vedere se si riesce a ristringere il periodo,l'anno, di emissione. Un particolore che ho notato,se può aiutare, è lo scudo leggermente più grande da altri anni e che ho visto, ad esempio, in quello sul MIR che ce l'ha più piccolo ed è del 1790. Grazie
  24. nando61

    ANELLO ?

    buongiorno questo anello d,argento ? è tremendamente sporco secondo voi come si può collocare
  25. nando61

    medaglia?

    buongiorno cos'è ?una medaglia di partecipazione ?olimpiadi del 36 .quanto vale?
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