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IGNORED

Celtica, etrusca, punica... romana?


g.aulisio

Risposte migliori

E' una moneta strepitosa, non tanto e non solo comunque per la qualità (credo che tua sia stato modesto, perché pur decentrata è comunque totalmente godibile) ma soprattutto per la sua genesi.

Direi, con un pizzico di "invidia buona", che è un pezzo da museo.

 

Per ciò che riguarda le vari influenze (etrusca, greca, romana e cartaginese) sarei portato d'istinto ad escludere quella cartaginese e propendere più per l'ipotesi della didracma romana, ma conoscendo gli spostamenti di Annibale non l'accantonerei.

 

E' interessante ipotizzare che i Punici attraversando la Gallia-Franci abbiano influenzato le popolazioni celtiche locali.

E qui apro una mia speculazione.

Si conoscono le relazioni tra Cartagine e gli Etruschi:

1-secondo Aristotele (Politica) esistevano dei symbolai o accordi di natura internazionale tra le vari spura etrusche e la città di Cartagine;

2-nel tempio di Caere vi sono le famosissime lamine quasi bilingui di Pyrgi ;

3-materiale vario archeologico.....

4- ma soprattutto abbiamo una moneta etrusca, attribuita forse ad Arezzo, con la testa di un moro e un elefante, di chiara ispirazione punica.

 

Mi domando perché la moneta che stiamo trattando ha iscrizioni in etrusco?

Forse perché i mercenari etruschi erano già al seguito della spedizione di Annibale in Francia?

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Sono ammirato dalla bellezza della moneta esposta e vista la competenza che avete sull'argomento celtiche mi permetto di proporre

due monetine che ritengo appartengano a quest'area. Purtroppo in merito sono assolutamente incompetente per cui se riusciste a

darmi un 'indicazione per una loro classificazione ve ne sarei molto grato!  peso gm. 4,83  e 3,38   - diam.  mm- 16  e  18

 

Grazie e saluti

 

romanus

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Inviato (modificato)

Di carne a fuoco ce n'é parecchia. Cominciamo con la questione più semplice, quella dell'alfabeto utilizzato (poi verremo alle altre, e naturalmente anche alle monetine proposte da Romanus).

 

Oggi siamo istintivamente abituati a localizzare gli Etruschi tra la Toscana ed il Tevere, dimenticando che gli Etruschi dal VI secolo e fino alla caduta di Melpum (nel 396 aC, secondo Plinio che cita Cornelio Nepote nello stesso giorno in cui Furio Camillo prese Veio - decisamente un'annataccia per gli Etruschi) erano stanziati anche nella pianura padana.

 

Perfettamente normale quindi che l'alfabeto nord etrusco, più o meno adattato ai fonemi delle lingue parlate dalle popolazioni confinanti, rappresentasse il modello utilizzato da popolazioni quali, tra le altre, i Veneti ed i Celti golasecchiani.

 

I Veneti trasmisero a loro volta l'alfabeto nord etrusco verso l'area danubiana e verso nord, attraverso le Alpi. Quando Tacito nel suo bellissimo ed interessantissimo Germania (che invito a leggere, o rileggere) ci racconta di sperdute tribù del cuore della Germania che scrivono in "greco", si riferisce probabilmente a quei rari popoli germanici che conoscevano la scrittura ed utilizzavano un alfabeto derivato da quello venetico. Che sopravviverà un bel po', raggiungendo la Scandinavia, avendo come esito finale l'alfabeto runico.

 

Nella parte occidentale della pianura padana l'alfabeto nord etrusco verrà adottato (e adattato) dai Celti stanziati ai piedi delle Alpi e nella valle del Rodano. Tra l'altro il più antico documento epigrafico in lingua celtica, la stele di Prestino, viene proprio dalla Cisalpina ed é scritto utilizzando caratteri nord etruschi. Inutile ricordare che proprio a Prestino é stata ritrovata una moneta di Populonia.

 

Andando verso sud est (Provenza e regione dei liguri) la situazione si fa più complicata. Forse vale la pena fare un salto fino all'Andalusia, e poi tornare su, per comodità di esposizione.

 

In Andalusia nel VI secolo (almeno) si comincia ad usare un alfabeto derivato dal fenicio, il cosidetto alfabeto iberico, pesantemente adattato per essere utilizzato per esprimere l'idioma locale. Dico pesantemente perché in effetti si trasforma talmente da divenire semisillabico (alcuni segni rappresentano singole lettere, altri intere sillabe). Nei secoli successivi questo alfabeto iberico di derivazione fenicia comincia a risalire la penisola, evolvendosi ed adattandosi ulteriormente, supera i Pirenei ed arriva ad attestarsi fino alla parte occidentale della Francia meridionale.

 

Se guardiamo alla Gallia del Sud, tra i Pirenei e le Alpi, ci ritroviamo quindi con una parte occidentale (Linguadoca e Occitania) in cui si scrive usando un alfabeto iberico derivante dal Fenicio ed una parte orientale in cui si scrive utilizzando un alfabeto derivato da quello usato dagli Etruschi padani.

 

E in mezzo c'é Marsiglia e le sue colonie provenzali. A Marsiglia, colonia focese, (per la verità anche a Rodas e Emporion, nell'attuale Catalogna) si parla (e si scrive) in greco-ionico. Le fonti antiche ci dicono in realtà che i Massalioti erano trilingui: parlavano greco, celtico e latino.  

 

Una serie importante di documenti tracciati su lamine di bronzo, per lo più contratti, in Gallia meridonale sono giunti fino a noi. In qualche caso sono transazioni tra mercanti greci e omologhi etruschi, ed i testi sono pertanto bilingui, in greco ionico ed in etrusco (questa volta dell'Etruria tirrenica). Spesso sono citati i nomi dei testimoni alla transazione, e si tratta di solito di nomi indigeni, ispanici, celti o liguri.

 

Da questi documenti si é dedotto che tali testimoni indigeni almeno il greco ionico lo dovessero conoscere, altrimenti non si comprenderebbe la valenza legale di tali testimonianze.

 

Ciò ci viene confermato dallo stesso Strabone che ci dice che ancora "recentemente" (possiamo immaginare tra il II ed il I sec. a.C) le popolazioni indigene della Gallia meridionale non solo conoscessero il greco (inteso come lingua, non come alfabeto), ma che anzi lo utilizzassero ancora nei documenti "formali", quali appunto i contratti.

 

Per concludere, la Gallia meridionale dal VI secolo alla Romanizzazione era un grande guazzabuglio dal punto di vista culturale e linguistico: a est si parlava iberico e celtico, ma si conosceva anche il greco) e si usava l'alfabeto iberico. Nelle colonie ioniche si parlava anche il celto ligure oltre al greco e si scriveva utilizzando l'alfabeto greco-ionico. Nella valle del Rodano si parlava si scriveva in celtico o celto ligure utilizzando l'alfabeto nord etrusco.

 

Dappertutto, se c'era da scrivere un contratto, lo si faceva in greco.

 

E in questo trambusto scorrazzavano mercanti Etruschi prima e Romani poi, che ci aggiungevano del loro...

Modificato da g.aulisio
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Awards

In merito ai contratti di compra-vendita "quasi" bilingui che ha citato Giorgio e ritengo alludesse proprio alla lamina di Pech-Maho, vi propongo 2 paginette della mia tesi sulle "Testimonianze di diritto etrusco" che trattano proprio di ciò

(PS: sperando di non farvi annoiare troppo)

la lamina di Pech-Maho.pdf

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Sì, in effetti mi riferivo anche alla lamina ionico-etrusca di Pech-Maho, ma non solo (tra l'altro a Pech-Maho probabilmente si parlava iberico, dato che la maggior parte delle lamine iscritte che vi sono state ritrovate sono in questa lingua.

 

Prima di proseguire sugli altri aspetti della dracma della valle del Rodano oggetto della discussione volevo dare una risposta a @@romanus .

 

Ci troviamo di fronte alla concatenazione di due fatti che definirei molto bizzarri, se non quasi eccezionali.

 

Il primo che con la miriade infinita di bronzetti gallici emessi dai centri di emissione più disparati in tempi diversi, i due posseduti da Romanus non solo sono stati prodotti dallo stesso centro di emissione, ma appartengono anche alla stessa serie.

 

Il secondo é che se per la maggior parte delle emissioni l'identificazione del popolo che le ha emessi é "tradizionale" e quasi sempre dubitativa, per questa serie  l'attribuzione ai Meldi é data per certa.

 

In effetti il "posizionamento" dei vari popoli sulla carta della Gallia centro settentrionale é tradizionalmente basata sui commentarii di Cesare, non essendovi altre fonti più precise. Il problema é che i vari popoli si spostavano continuamente (e ci se ne rende conto facilmente proprio leggendo i commentarii) per cui la "foto" presa da Cesare alla metà del I sec aC non é detto che corrisponda alla realtà delle cose 50, 100 o 150 anni prima.

 

Nel nostro caso i ritrovamenti di questa serie sono in un territorio ben definito sulla Marne, a ovest di Parigi (verso Disneyland Paris, per capirci... ;) ), dove Cesare ci dice erano stanziati i Meldi. E l'inizio dell'emissione di quasta serie data proprio al periodo della Guerra di Gallia.

 

Questa la carta di distribuzione di questa serie proposta dalla Scheers nel suo Traité sulle monetazioni della Gallia Belgica del 1977.

 

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Dunque si tratta dei Meldi, la serie é trimetallica (con emissioni in oro, in argento ed in bronzo) e viene comunemente chiamata "ROVECA", dalla legenda che appare sui vari tipi. L'emissione inizia durante la Guerra di Gallia, come già detto, e si trascina probabilmente con le emissioni bronzee nel periodo pre-augusteo.

 

Di seguito una visione sintetica tratta dal "Nouvel Atlas" di Delestrée e Tache.

 

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La prima delle due monete appartiene al tipo illustrato dai numeri 585 e 586 (DT serie 67, Classe III, var.6; Scheers serie 28, Classe V).

 

Al dritto porta un un busto femminile (tradizionalmente detto "busto di Venus" nella letteratura francese) diademato e con collana di perle. Dietro il busto é presente un minuscolo personaggio che tiene una corona, a destra. Davanti al busto, dal basso all'alto, é la legenda ROVECA.

 

Al rovescio cavallo a destra, sopra ruota. Linea di esergo perlinata sotto la quale tracce della legenda ROVECA. Tra le zampe del cavallo, talvolta (come in questo caso) cerchio centrato.

 

La seconda é di identificazione più difficile a causa di un fenomeno piuttosto comune in numismatica celtica, detto "omotipia di contiguità": capita spesso di trovare emissioni di popoli vicini che condividono tipi del dritto o del rovescio. Non si tratta necessariamente di fenomeni imitativi. Le ragioni possono essere state molteplici, non ultima la presenza di accordi politici. Nel caso della seconda moneta di Romanus il rovescio si vede poco, le legende non si leggono, ed il tipo del dritto é condiviso con alcuni tipi della serie CRICIRU, emissione contemporanea della vicina tribù degli Suessones.

 

A titolo esemplificativo, per rendersi conto dell'identità di tipi del dritto, qualche esemplare CRICIRU del British Museum.

 

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Sono abbastanza convinto (ma Romanus osservando direttamente la moneta potrà smentirmi) che si tratti comunque di una moneta ROVECA (con al rovescio un leone a d.) e non di una CRICIRU (con al rovescio un cavallo a s.)

 

Tra l'altro il conio di dritto mi sembra molto vicino a quello di questo esemplare ROVECA del BM, trovato nella Senna a Parigi (patina... Senna):

post-3247-0-12232700-1467473211.png

 

Il tipo, figure 583 e 584, (DT serie 67, Classe III, var.5a o 5b; Scheers serie 28, Classe IVb o IVa) porta al dritto una testa elmata a s., con davanti al viso la legenda POOYIKA. Al rovescio un leone a d., la legenda ROVECA in esergo. Sopra il leone una spiga e quattro cerchi centrati disposti a croce. Nella variante b sotto il leone cinque globuli, sempre disposti in croce. (esiste un'altra variante -584-, col tipo baffuto...).

 

Volendo c'é a divertirsi, osservando direttamente la moneta, nel cercare di indovinare la variante. 

 

Segnale infine un vecchio articolo di Colbert di Beaulieu che parla di queste serie, e del rapporto tra ROVECA e CRICIRU disponibile in rete. Ecco il link:  

 

J.B. Colbert de Beaulieu et J.M. Desbordes, «CRI-CI RU» et «ROVECA». Les Belges sur la Marne (RBN 110, 1964) http://www.numisbel.be/1964_3.pdf

 

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Awards

Ringrazio molto per l'approfondita analisi di un contesto molto complesso , appena mi viene l'estro mi riprometto di immergermi nello

studio del materiale esposto.

 

grazie ancora

 

romanus

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DE GREGE EPICURI

@g.aulisio: nella prima, splendida moneta che ci hai mostrato, come si può leggere la scritta etrusca? Non mi pare retrograda, ma non ci posso giurare...

Modificato da gpittini
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Di carne a fuoco ce n'é parecchia. Cominciamo con la questione più semplice, quella dell'alfabeto utilizzato (poi verremo alle altre, e naturalmente anche alle monetine proposte da Romanus).

 

Oggi siamo istintivamente abituati a localizzare gli Etruschi tra la Toscana ed il Tevere, dimenticando che gli Etruschi dal VI secolo e fino alla caduta di Melpum (nel 396 aC, secondo Plinio che cita Cornelio Nepote nello stesso giorno in cui Furio Camillo prese Veio - decisamente un'annataccia per gli Etruschi) erano stanziati anche nella pianura padana.

 

Perfettamente normale quindi che l'alfabeto nord etrusco, più o meno adattato ai fonemi delle lingue parlate dalle popolazioni confinanti, rappresentasse il modello utilizzato da popolazioni quali, tra le altre, i Veneti ed i Celti golasecchiani.

 

I Veneti trasmisero a loro volta l'alfabeto nord etrusco verso l'area danubiana e verso nord, attraverso le Alpi. Quando Tacito nel suo bellissimo ed interessantissimo Germania (che invito a leggere, o rileggere) ci racconta di sperdute tribù del cuore della Germania che scrivono in "greco", si riferisce probabilmente a quei rari popoli germanici che conoscevano la scrittura ed utilizzavano un alfabeto derivato da quello venetico. Che sopravviverà un bel po', raggiungendo la Scandinavia, avendo come esito finale l'alfabeto runico.

 

Nella parte occidentale della pianura padana l'alfabeto nord etrusco verrà adottato (e adattato) dai Celti stanziati ai piedi delle Alpi e nella valle del Rodano. Tra l'altro il più antico documento epigrafico in lingua celtica, la stele di Prestino, viene proprio dalla Cisalpina ed é scritto utilizzando caratteri nord etruschi. Inutile ricordare che proprio a Prestino é stata ritrovata una moneta di Populonia.

 

I veneti avevano mutuato l'alfabeto etrusco adattandolo alla loro lingua parlata e modificandolo appunto secondo le loro necessità linguistoco-fonetiche:

 

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Integrarono l'alfabeto etrusco, per esempio, introducendovi la "o".

Circa la diffusione degli Etruschi, non dimentichiamoci di come cercassero di spingersi sia verso i valichi alpini che verso il mare per le rotte e gli scambi commerciali: la città di Spina nel ferrarese ne è un lampante esempio.

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